Esitazione e angoscia di Arjuna
La domanda
Dhrtarastra disse:
(1) Nel campo (dell'adempimento) della giustizia, nel campo dei Kuru, quando si furon messi di fronte, desiderosi di lotta, la mia gente da un lato, i Panduidi dall'altro, che cosa fecero essi, o Samjaya?
Samjaya disse:
(2) Ordunque, avendo visto allora Duryodhana, il re, l'esercito dei Panduidi disposto in ordine di battaglia, accostatosi al maestro (gli) tenne questo discorso:
(3) Guarda, o maestro, questo possente esercito dei figli di Pandu raccolto dal tuo sapiente discepolo, il figlio di Drupada.
(4) Quaggiù (ci sono) eroi, grandi arcieri, pari in battaglia a Bhima e ad Arjuna (e cioè vi sono) i Yuyudhana, Virata e Drupada il valente guerriero.
(5) Dhrstaketu, Cekitana e il valoroso re di Kasi, Purujit e Kuntibhoja e Saibya, eroe fra gli uomini.
(6) Yudhamanyu il forte ed Uttamauja il prode; e inoltre il figlio di Subhadra e i figli di Draupadi, grandi guerrieri tutti.
(7) Coloro che fra noi si trovano ad essere particolarmente distinti, i capi del mio esercito, quelli impara a conoscere, o migliore fra i due volte nati. Costoro per tua conoscenza io ti menzionerò per nome.
(8) Tu, o Signore, e Bhisma e Karna e Krpa vittorioso in battaglia, Asvatthaman e Vikarna ed anche il figlio di Somadatta.
(9) E molti altri eroi, che per me son pronti a rinunciare alla vita, che sanno combattere con armi di vario genere, tutti esperti nel guerreggiare.
(10) Ingente è questo nostro esercito, del quale sta Bhisma a presidio mentre codesto loro esercito, retto da Bhima, non è poderoso.
(11) E (dunque) su tutti i punti del fronte, ciascuno secondo il posto (che gli compete), saldi restando, voi tutti lottate in favore di Bhisma.
Il suono dei corni
(12) Per far sorgere ardente il desiderio di Duryodhana (di combattere) il vecchio kuruide, l'avo valoroso, ruggì come un leone con voce poderosa. Pieno di ardore dette fiato alla tromba.
(13) Allora conchiglie e grancasse, tamburi e timpani e corni d'un tratto si cominciò a battere e ne nacque un rumore fragoroso.
(14) Allora stando sul grande carro aggiogato ai bianchi cavalli, Madhava e il Panduide (Krsna ed Arjuna) dettero fiato alle loro divine conchiglie.
(15) Krsna soffiò nel suo Pancajanya ed Arjuna nel suo Devadatta e Bhima, l'eroe dalle spaventose imprese e dal ventre di lupo (dal grande appetito), dette fiato alla sua grande conchiglia, Paundra.
(16) Il re Yudhisthira, figlio di Kuntì, dette fiato al suo Anantavijaya e Nakula e Sahadeva soffiarono in Sughosa e Manipuspaka.
(17) E il re di Kasi, sommo fra gli arcieri, e Sikhandin dal grande carro, Dhrstadyumna e Virata e Satyaki, l'invitto,
(18) Drupada e i figli di Draupadi tutti insieme, o Signore della terra, e il figlio di Subhadra dalle forti braccia dettero fiato alle loro conchiglie da tutti i lati.
(19) Il fragore frastornante che faceva rimbombare il cielo e la terra, lacerò i cuori dei figli di Dhrtarastra. Arjuna guarda i due eserciti.
(20) Allora il panduide (Arjuna) che aveva per insegna la scimmia Hanuman, dopo che ebbe visto i figli di Dhrtarastra disposti in ordine di battaglia, e avendo inizio lo scontro delle armi, alzando l'arco,
(21) O Signore della terra, questo discorso rivolse a Hrsikesa (Krsna): o Acyuta (Krsna), fa che il mio carro si trovi a stare fra i due eserciti;
(22) in modo che io osservi gli uomini che qui si ergono desiderosi di battaglia, (e) che devono combattere con me nell'agone di questa battaglia;
(23) in modo che io possa guardare costoro che son desiderosi di combattere, e che sono qui raccolti, pronti a compiere in battaglia il volere del figlio di Dhrtarastra dall'animo perverso.
(24) Così, o Bharata (Dhrtarastra) essendo stata rivolta la parola da Gudakesa (Arjuna), Hrsikesa (Krsna) avendo arrestato fra i due eserciti il migliore dei carri,
(25) di fronte a Bhisma, Drona e a tutti quei signori di terre, disse: "Considera, o Partha (Arjuna), questi Kuru raccolti (in questo luogo)".
(26) Allora Partha vide che stavano là padri e nonni, maestri, zii, fratelli, figli, nipoti e compagni anche,
(27) ed anche suoceri e amici nell'uno e nell'altro esercito. E dopo che il figlio di Kuntì (Arjuna) ebbe visto tutti quei parenti così disposti in ordine di battaglia,
(28) in preda a (un sentimento di) grande compassione, fece, turbato, questo discorso: O Krsna, vedendo la mia propria gente piena d'ardore guerresco e disposta in ordine di battaglia,
(29) le mie membra vengono meno e la bocca (mi) diventa secca e un tremito nel corpo mi si produce e così il rizzarsi dei capelli;
(30) (l'arco) Gandiva mi sfugge di mano e la pelle tutta mi arde; non riesco a stare in piedi; la mia mente vacilla.
(31) E vedo segni contrari di augurio, o Kesava (Krsna), né posso prevedere alcunché di meglio, se uccido la mia gente in battaglia.
(32) Io non aspiro alla vittoria, o Krsna, né a un regno né ai piaceri. A che ci serve mai un regno, o Govinda (Krsna), a che i piaceri, a che la vita stessa?
(33) Coloro proprio per i quali noi desideriamo regni, godimenti e piaceri, questi appunto stanno in battaglia, rinunciando alla vita e alle ricchezze,
(34) maestri, padri, figli e nonni anche, zii e suoceri, nipoti e cognati ed altri parenti.
(35) Costoro io non desidero uccidere, o Madhusudana pur se essi uccidono me; e (questo) nemmeno per (avere) il triplice regno; che cosa (dire) mai dunque (se non che non lo farei mai) per amore del dominio sulla terra (tanto inferiore)?
(36) Dopo aver ucciso i figli di Dhrtarastra, o Krsna, quale piacere potremmo mai avere, o Janardana? Il peccato soltanto potrebbe attaccarsi a noi, dopo che avessimo ucciso costoro, anche se essi son uomini disposti al male.
(37) Non è cosa degna che noi uccidiamo, quindi, i figli di Dhrtarastra, nostri parenti; in verità, come potremmo essere felici, dopo aver ucciso la nostra gente, o Madhava?
(38) Anche se costoro, i cui animi sono dominati dall'ingordigia, non riescono a vedere alcun male nel fatto che una famiglia sia distrutta e (non riescono a vedere) alcuna colpa nel fatto di tradire le persone care;
(39) come non dovremmo aver noi la coscienza di doverci tener lontani da codesta colpa, noi che ben vediamo il male che è nella distruzione delle famiglie, o janardana?
(40) Quando una famiglia va in rovina, le antichissime sue leggi (nel senso concreto delle virtú che ad esse si riferiscono) periscono; e quando la legge è perita, l'ingiustizia sottomette a sé, per conseguenza, la famiglia tutta intera.
(41) E quando è l'ingiustizia quella che predomina, o Krsna, le donne della stirpe diventano corrotte e quando le donne son diventate corrotte, si determina la confusione delle caste.
(42) E questa confusione vale l'inferno per coloro che hanno distrutto la famiglia e per la famiglia stessa; e (vi) cadono anche gli spiriti dei loro antenati, che si trovano ad essere privi delle offerte di riso e di acqua.
(43) Per quei misfatti, apportatori di confusione castale, (che son opera) di coloro che distruggono (così) la propria gente, vanno in malora le leggi della nascita e della famiglia, che durano da tempo immemorabile.
(44) E noi abbiamo appreso dalle nostre tradizioni, o Janardana, che eternamente dovranno vivere nell'inferno gli uomini delle famiglie, le cui leggi sono state mandate in malora.
(45) Ohimé, un grande peccato ci siamo noi decisi a commettere, per il fatto di trovarci si pronti ad uccidere la gente nostra per la brama dei piaceri che il regno può dare!
(46) (Davvero) preferirei se i figli di Dhrtarastra, con le armi in pugno, mi uccidessero, nella battaglia, senza che io opponessi loro resistenza, senza che io avessi armi, nemmeno!
(47) Così Arjuna avendo parlato sul campo di battaglia si accasciò a sedere nel carro, (via da sé) gettando l'arco e (la scorta del) le frecce, con l'animo angosciato.
Nell'Upanisad che si intitola Bhagavad Gita,
libro di interpretazione filosofica
e concernente la realizzazione yogica,
nel dialogo fra Sri Krisna e Arjuna
(è questo) il primo capitolo intolato
"Angoscia di Arjuna".
Capitolo secondo
Teoria Samkhya e Pratica Yoga
Krsna rimprovera Arjuna e lo esorta a comportarsi da valoroso
Samjaya disse:
(1) A lui che era così preso dal suo sentimento di pietà (e) i cui occhi erano pieni davvero di lacrime e che era affranto, Madhusudana rivolse queste parole:
Il Signore Beato disse:
(2) Da dove ti si è fatta d'accosto questa (tua) debolezza in (questo) momento di difficoltà? Essa tale è, che non se ne compiacerebbero gli uomini d'onore, tale da non condurre al cielo; ed è causa di disonore (sulla terra), o Arjuna.
(3) No, non cedere a questo tuo vile sentimento, o Partha, che esso non ti si conviene; cacciando la meschina debolezza d'animo, sorgi, o distruttore dei nemici.
I dubbi di Arjuna rimangono irrisolti
Arjuna disse:
(4) Come potrò, io, combattere sul campo di battaglia, con le frecce, Bhisma e Drona ambedue degni di rispetto, oh Madhusudana (uccisore di Madhu), oh Arisudana (uccisor dei nemici)?
(5) Meglio è mangiare il cibo del mendico, pur esso, in questo mondo qui, che uccidere questi venerandi maestri; con l'uccidere essi che sono i miei maestri, anche se sono bramosi di guadagno, godrei piaceri macchiati di sangue.
(6) E nemmeno questo sappiamo, quale delle due cose sia per noi migliore, che li vinciamo noi, o che essi ci vincano. I figli di Dhrtarastra, dopo aver ucciso i quali noi non avremo più desiderio di vivere, sono là, schierati in ordine di battaglia, faccia a faccia davanti a noi.
(7) Il (mio) proprio essere è preda dello smarrimento per questa mia colpa della compassione. Poiché la mente mi si confonde a proposito di quel che è, il mio proprio dovere, io ti domando: dimmi con certezza quale sia il meglio. lo sono il tuo discepolo; istruisci me, che in te cerco rifugio.
(8) Davvero non vedo che cosa possa allontanare da me questa angoscia che priva di ogni forza i miei sensi; (non ci potrebb'essere cosa alcuna capace di tanto) neppure se io raggiungessi sulla terra un ricco regno di incontrastabile potenza o avessi pur anche l'assoluto dominio degli esseri celesti.
Samjaya disse:
(9) Gudakesa, l'uccisore dei nemici, avendo così parlato a Hrsikesa, (e) dopo aver detto a Govinda "non combatterò" se ne stette in silenzio.
(10) (E) a lui (così) smarrito, in mezzo ai due eserciti, o Bharata, Hrsikesa, come sorridendo, rivolse questo discorso:
La distinzione fra il Sé e il Corpo:
non dobbiamo affliggerci per ciò che non può perire
Il Signore Beato disse:
(11) Per coloro ai quali non si addice il tuo pianto, ti affliggi, eppure sai dire parole assennate. (Ma) i saggi non si affliggono né per i morti né per quelli che morti non sono.
(12) Né mai c'è stato tempo in cui io non esistessi, né tu (esistessi) né questi signori di uomini, né di poi, in appresso, ci sarà tempo in cui noi tutti non saremo (non esisteremo più, avremo cessato di essere).
(13) L'anima dopo che in questo corpo è stata, (per) la fanciullezza, la gioventù, la vecchiaia, allora appunto realizza l'assunzione di un altro corpo. L'uomo, fermo di spirito, non trae da ciò motivo di smarrimento.
(14) I contatti con le cose materiali, o figlio di Kuntì, fanno sentire caldo e freddo, piacere e dolore; vanno e vengono e sono impermanenti. Apprendi a sopportarli, o Bharata.
(15) L'uomo che questi (contatti) non turbano, o capo di uomini, l'uomo fermo, che rimane lo stesso nel piacere e nel dolore, questo si rende adatto all'immortalità.
(16) Di ciò che non esiste non si dà venire all'essere; di ciò che esiste non c'è cessazione dell'essere. La conseguenza ultima dell'uno e dell'altro punto è stata scorta da quelli che vedono l'essenza della verità.
(17) Sappi dunque che ciò da cui tutto questo (mondo della molteplicità) si è diffuso, è indistruttibile. Di questo immutabile essere non c'è alcuno che possa causare la distruzione.
(18) Questi corpi dell'anima eterna (che vi si diffonde), indistruttibile e incomprensibile, son detti esser tali da avere una fine. Per questo, combatti, o bharata (Arjuna).
(19) Colui che pensa che sia esso ad uccidere e colui che pensa sia esso ad essere ucciso, sono tutti e due in errore, (perché) esso non uccide né è ucciso.
(20) Esso non nasce mai, né mai muore, né, essendo ciò che è venuto ad essere, (di nuovo) cesserà di essere; è non-nato, eterno, permanente, originario; non è ucciso, quando il corpo è ucciso.
(21) Colui che sa che esso (il Sé) è indistruttibile ed eterno, non-generato e immutabile, come può quella persona, o Partha, uccidere o far uccidere qualcuno?
(22) Come un uomo smettendo i vestiti usati, ne prende altri nuovi, così proprio l'anima incarnata, smettendo i corpi logori, viene ad assumerne altri nuovi.
(23) Le armi non fendono il Sé, il fuoco non lo brucia; né lo bagnano le acque, né lo dissecca il vento.
(24) Esso è tale che non lo si può fendere, tale da non poter essere arso, da non poter essere né bagnato né disseccato. Eterno è, onnipervadente, immoto ed immobile; esso è sempre identico a sé.
(25) Esso è detto non-manifesto, impensabile, immutabile. Per tale sapendolo, non deve affliggerti.
(26) Anche se pensi che esso (il sé) nasca eternamente ed eternamente muoia, anche allora, o uomo dal braccio possente, non devi tu trarne motivo d'angoscia.
(27) Dell'uomo che è nato in verità certa è la morte; e certa è la rinascita per quello che è morto. Di conseguenza, da ciò che è inevitabile non devi tu trarre motivo d'angoscia.
(28) Gli esseri non sono manifesti nel principio del loro esistere, sono manifesti nel loro esistere di mezzo e di bel nuovo non manifesti alla fine del loro esistere, o Bharata. Quale (motivo di) pianto può essere, quindi, in ciò?
(29) L'uno guarda ad esso come a qualcosa di meraviglioso; un altro parla di esso come di qualcosa di meraviglioso; un altro ancora ne sente (parlare) come di qualcosa di meraviglioso; ma anche dopo averne udito, non c'è alcuno che l'abbia conosciuto.
(30) L'Anima (il Sé) (che ha preso sede) nel corpo di ciascuno, o Bharata è eterna e non può mai essere uccisa. Perciò non devi tu trarre motivo di ansia per alcuna creatura.
Appello al sentimento del dovere
(31) E poi, considerando il tuo proprio dovere, non dovresti farti prendere da emozione; non esiste alcun'altra cosa che per uno Ksatriya valga di piú della battaglia combattuta secondo il proprio dovere.
(32) Felicemente gli Ksatriya accolgono una guerra siffatta venuta da sé spontaneamente (quale) porta aperta del cielo, o Partha.
(33) Ma se tu poi non vuoi compiere questa lotta secondo giustizia, allora, col metter da parte il tuo dovere e la tua gloria, commetterai peccato.
(34) Inoltre, gli uomini parleranno sempre della tua vergogna; e per uno di cui si è sempre avuta un'alta opinione, il disonore è peggiore della (stessa) morte.
(35) I grandi guerrieri penseranno che tu ti sia astenuto dal combattimento per paura; e andrai incontro al disprezzo di coloro dai quali tu eri pur ora molto stimato.
(36) Molte parole disonorevoli pronunceranno i tuoi nemici, i quali si faranno beffe del tuo valore. Che cosa potrebbe essere dunque (per te) piú penoso di questo?
(37) (Delle due l'una): o ucciso otterrai il cielo o, vincitore, ti godrai (questa) terra; sorgi, quindi, o figlio di Kuntì, deciso alla battaglia.
(38) Ugualmente stimando piacere e dolore, vincita e perdita, vittoria e sconfitta apprestati dunque alla battaglia; non potrai così commettere peccato.
(39) Questa è, (così) a te trasmessa, la sapienza del samkhya (o secondo ragione). Epperò ascolta quella (dello Yoga) che ora ti dirò; da una siffatta sapienza se sarai avvinto, o Partha, potrai sfuggire ai vincoli del karma (alle conseguenze delle tue opere).
Yoga e mentalità mondana
(40) Qui (in questo procedere o processo) non c'è cosa alcuna che neutralizzi lo sforzo, non c'è difficoltà (che tenga); anche un minimo di questo giusto procedere (di questo dharma) salva da grande paura.
(41) In questo processo l'intelletto risoluto è unico, o gioia dei Kuru; (ma) in verità dalle molte ramificazioni e senza termini sono gli intelletti di quelli che non hanno fermo lo spirito.
(42-43) I non-esperti (quelli che non vedono, gli stolti) che si compiacciono dei precetti vedici intesi alla lettera (delle parole dei Veda), quelli che dicono che non c'è altro, coloro il cui essere è desiderio e che hanno lo spirito fisso al cielo soprattutto, proclamano per l'appunto queste fiorite parole, le quali concludono al (concetto della) la rinascita come frutto delle azioni ed implicano molti riti speciali per ottenere il dominio e il godimento.
(44) L'intelligenza distinguente di coloro che sono dediti al dominio e al godimento e le cui menti sono rapite da essi non può fissarsi decisa nella concentrazione Yogica.
(45) I Veda riguardano il dominio dei tre guna (delle tre qualità o modi); ma tu dalle tre qualità diventa libero, o Arjuna; renditi libero dalle coppie degli opposti, col volere fermo alla somma realtà, senza curarti di acquistare e conservare, padrone del tuo vero Sé.
(46) In quel modo che (si può dire che vi sia) utilità in una cisterna (situata) in un luogo che sia da ogni parte inondato dalle acque, in questo stesso modo (vi può essere utilità) in tutti i Veda per il Brahmano che è in grado di intendere.
Operare senza interesse per i risultati
(47) Tu hai un diritto particolare (o privilegio relativo alla condizione umana) all'azione, ma in nessun caso un diritto ai suoi frutti; non essere come uno che dipende dal frutto del karma; e non sia in te neanche attaccamento alcuno alla non-azione.
(48) Ben saldo nello Yoga, compi le opere tue, o possessore della ricchezza, dopo aver messo da parte l'attaccamento, con la stessa disposizione d'animo rimanendo, nel successo e nella sconfitta: la mente in equilibrio (continuo) di indifferenza, ha il nome di yoga.
(49) Di gran lunga inferiore è il (puro e semplice) agire all'equilibrio dell'intelletto aggiogato, o possessore della ricchezza; nell'intelletto cerca rifugio; tali da destare pietà son coloro che vanno alla ricerca del frutto (del loro agire).
(50) Colui che ha raggiunto l'equilibrio dell'intelligenza aggiogata elimina anche in questo mondo tutti e due, il bene e il male. Lotta dunque per (realizzare) lo yoga; lo yoga è abilità nell'agire.
(51) I saggi che, rinunciando al frutto, prodotto dal loro agire, realizzano l'unione del loro spirito (con l'essenza divina del mondo), dal legame delle nascite liberati, raggiungono una condizione stabile (o dimora) al di là di ogni male.
(52) Allorché il tuo intelletto attraverserà la pienezza della delusione, allora appunto perverrai al disgusto per ciò che deve essere udito e per ciò che è stato udito.
(53) Allorchè il tuo intelletto, che è disorientato dalla sruti, si ergerà fermo ed immoto nella somma coscienza, allora appunto raggiungerai lo yoga.
I caratteri del perfetto sapiente
Ariuna disse:
(54) Qual è la descrizione dell'uomo che possiede salda questa conoscenza, di colui che è fermo nella meditazione, o Kesava? L'uomo dal fermo spirito come dovrebbe parlare, come sedere, come camminare?
Il Signore Beato disse:
(55) Quando uno espelle tutti i desideri che son venuti nell'animo suo, o Partha, ed è di sé soddisfatto nell'intimo suo, allor appunto prende il nome di uomo dalla stabile capacità discriminativa.
(56) Colui che ha l'animo libero da turbamento, pur in mezzo ai dolori, e va esente da desideri violenti, pur in mezzo ai piaceri, colui che è libero da passione, paura e collera, ha il nome di uomo di fermo spirito.
(57) Colui che è privo d'affezione sotto ogni aspetto (che non prova attaccamento per cosa alcuna), che a seconda dei casi provando bene o male non gode, non detesta, di questo (uomo) l'intelletto è saldamente fondato (nella somma conoscenza).
(58) Allorché uno ritrae i sensi dagli oggetti sensibili, da ogni parte, come la tartaruga le membra (nel guscio), di questo (uomo) l'intelletto è saldamente fondato (nella somma conoscenza).
(59) Gli oggetti sensibili si ritraggono dall'anima incarnata di colui che si astiene dal fruirne: non così il gusto per essi. Ma anche il gusto per queste cose dilegua, dopo che si è visto il Supremo.
(60) Anche dell'uomo che lotta (per raggiungere la perfezione) e che ben sa discernere, o figlio di Kuntì, i sensi distruttori con violenza rapiscono lo spirito.
(61) Ed essi tutti (i sensi) padroneggiando, nell'equilibrio yogico stia fermo a me devoto (di me solo occupandosi); poiché è saldamente fondato nella somma conoscenza l'intelletto di colui sotto il cui controllo sono i sensi.
(64) Ma un (uomo) che ha lo spirito sottomesso alla regola (vidhi) e che si muove fra gli oggetti dei sensi, con i sensi disgiunti da passione e avversione e dipendenti dalla sua volontà, (questi) raggiunge la purezza dello spirito.
(65) E in (codesta) purezza di spirito è prodotta, così da appartenergli, la cessazione di tutte le pene; la capacità discriminatrice dell'uomo dallo spirito puro in breve termine si stabilisce (nella quiete del sé).
(66) In colui che non ha raggiunto la saldezza del controllo non ci può essere capacità discriminatrice; né d'altra parte in colui che non ha raggiunto il controllo può darsi il potere di determinare l'esperienza fenomenica (concentrazione) e in colui che non ha un siffatto potere di concentrazione non c'è pace e, per colui che pace non ha, come può esserci felicità?
(67) Quello spirito che si conforma ai sensi che perennemente si agitano, quello appunto trae seco la capacità di distinguere, come il vento (trascina qua e là) la nave sull'acqua (del mare).
(68) Di conseguenza, o uomo dal forte braccio, colui i cui sensi siano per ogni verso distolti dagli oggetti sensibili, di quell'uomo appunto la capacità di distinguere è saldamente fondata.
(69) In quella che è notte per tutti quanti gli esseri (in essa appunto) veglia colui che è padrone di sé; ed è notte per il saggio veggente ciò che per gli (altri) esseri è tempo di veglia (il tempo in cui gli altri esseri vegliano).
(70) Colui nel quale tutti i desideri entrano, nello stesso modo in cui le acque entrano nel mare, che, sebbene continuamente ne sia rifornito, rimane tuttavia esente da movimento, un tale uomo appunto raggiunge la pace, e non già colui che è preda di tutte le passioni.
(71) L'uomo che allontanando tutti i desideri agisce esente da desiderio, quegli appunto, distaccato dal proprio ego, senza orgoglio o egocentrismo, raggiunge la pace.
(72) Questo è lo stato brahmanico, o Partha: e quando uno l'ha raggiunto non è possibile che (poi) si smarrisca spiritualmente; e in esso (stato) rimanendo anche nell'ora della morte, (si) raggiunge il nirvana identico alla realtà brahmanica.
Questo è il secondo capitolo che ha per titolo
"Lo Yoga della Conoscenza".
(Samkhya Yoga)
Capitolo terzo
Il Karma Yoga o la via nell'agire
Se le cose stanno così, perché operare?
Arjuna disse:
(1) Se l'intendere tu ritieni che sia superiore all'agire, o Janardana, perché mai allora vuoi impormi (di compiere questo) terribile atto, o Kesava?
(2) Con un modo di esprimerti che è per così dire ambiguo, tu hai l'aria di portar confusione nel mio intelletto. Dimmi dunque, con definita certezza, (quale sia) l'unica cosa per mezzo della quale io possa raggiungere il sommo bene.
Vivere è operare; necessaria l'indifferenza per il risultato
Il Signore beato disse:
(3) O (eroe) senza macchia, un duplice modo di trar conclusioni del genere in questo mondo è stato dianzi da me indicato, quello che si riferisce alla via della conoscenza, e riguarda i contemplativi, e quello che si riferisce alla via dell'operare, e riguarda gli uomini d'azione.
(4) Non con il tenersi lontano dall'operare, può l'uomo arrivare a conquistare la libertà dall'agire; e non con la rinuncia al mondo, puramente e semplicemente, può raggiungere la perfezione.
(5) E in verità proprio nessuno, nemmeno forse per un istante, può restar senza operare; ogni atto è qualcosa che si è indotti a compiere, in modo necessario, dalle qualità che hanno origine nella natura stessa.
(6) Colui che, controllando gli organi dell'agire, di continuo però pone mente, con il (suo) spirito, agli oggetti dei sensi, costui dall'animo ambiguo è detto essere uno che agisce in modo menzognero.
(7) Colui invece che, controllando i sensi con la sua mente, o Arjuna, senza attaccamento intraprende la strada dello Yoga sulla base degli organi dell'agire, questi (sugli altri) eccelle.
(8) Tu, compi l'opera che ti è stata affidata, che davvero l'agire meglio è del non agire; perfino mantenere il tuo corpo non sarebbe possibile senza l'agire.
(9) Escluso l'agire che è in funzione di sacrificio (agire non vincolante -N.T.), questo mondo qui è vincolato all'azione; e in funzione di ciò appunto (in funzione sacrificale), o figlio di Kuntì, compi l'opera tua, libero da attaccamento.
(10) Nei tempi antichi, il Signore delle creature, creando le generazioni degli uomini insieme con il sacrificio, disse: "Con questo voi procreate e questa sia per voi la vacca dell'abbondanza che realizzerà i vostri desideri".
(11) Per mezzo di esso sostentate gli dei ed essi, gli dei, vi sostentino; reciprocamente sostentandovi, attingerete il sommo Bene.
(12) E gli dei appunto, sostentati dal sacrificio, a voi daranno le gioie desiderate. Colui che gode di questi doni, senza restituirli ad essi, è veramente un ladro.
(13) I buoni che mangiano i resti del sacrificio si liberano di tutti i peccati; ma quei malvagi che mettono a cuocere (il cibo) per se stessi, costoro veramente mangiano peccato.
(14) Dal cibo le creature hanno l'esistere; dalla pioggia ha origine il cibo; dal sacrificio la pioggia ha l'esistere e dall'operare il sacrificio nasce.
(15) Sappi che il karma, l'operare stesso, ha origine in Brahma e che il Brahma ha origine dall'Assoluto. Epperò il Brahma, che tutto compenetra, eternamente si appoggia sul sacrificio.
(16) Colui che non dà il suo aiuto (per girare) in questo mondo la ruota (del divenire terreno) che così intorno si volge, (è un) mascalzone, uno che cerca il piacere dei sensi (e) vive invano, o Partha.
Sii contento del Sé
(17) Colui però che sia tale da godere solo del Sé, l'uomo che del Sé è contento, che del Sé completamente si soddisfa, (quest'ultimo è tale che) per lui non esiste cosa che deva essere necessariamente fatta.
(18) Né d'altra parte ci può essere alcun suo interesse in azione da lui compiuta, in questo mondo, né, in alcun modo, in azione che egli non abbia compiuta. Né, ancora, in tutti (questi) esseri può egli trovare in alcun modo protezione per i suoi interessi.
(19) Perciò realizza sempre senza attaccamento l'atto che deve esser compiuto perché davvero l'uomo, compiendo l'opera senza attaccamento, attinge la Suprema Realtà.
Siate d'esempio agli altri
(20) Per mezzo delle opere appunto Janaka e gli altri si trovarono a conseguire la perfezione; avendo insieme anche lo sguardo alla conservazione del mondo, devi tu operare.
(21) Qualsiasi cosa compia un uomo sommo, quella appunto (fanno) anche gli altri uomini; quel modello che egli stabilisce, esso appunto la gente segue.
(22) Non c'è nulla, affatto, o Partha, nei tre mondi, che io debba fare né alcuna cosa che debba ottenere, che non sia stata da me ottenuta; e però mi trovo nella condizione di chi è (impegnato) nell'operare (pur senza essere effettivamente impegnato - N.T.).
(23) Se io non mi mettessi nella condizione di chi è impegnato sempre infaticabilmente nell'operare, gli uomini, o Partha, in tutte le guise seguirebbero le mie orme (come sempre fanno - N.T.).
(24) Sparirebbero questi mondi, se io non dessi piú luogo a questo mio operare e sarei allora il creatore del disordine e sarei io stesso a causare la distruzione di queste creature.
(25) Come gli ignoranti agiscono nell'attaccamento al loro operare, così appunto gli uomini istruiti e consapevoli devono agire senza attaccamento, in vista di realizzare la conservazione del mondo.
(26) Che (colui che sa) non faccia nascere aberrazione mentale negli spiriti degli ignoranti che sono attaccati all'operare. Colui che sa deve far compiere tutte le opere, agendo nello spirito yogico del raggiunto equilibrio.
Il Sé non agisce
(27) Le opere di ogni genere sono compiute dai modi della natura; (ma) colui che è traviato dal sentimento del proprio ego pensa: "sono io colui che fa".
(28) Ma colui che conosce la sostanza delle due distinzioni (del Sé) dai modi della natura e dall'operare (che ad essi pertiene), o eroe dal braccio possente, pensando sono i modi ad agire sui modi, non patisce attaccamento.
(29) Coloro che sono fuorviati dai modi naturali patiscono attaccamento agli atti prodotti dalle qualità naturali stesse. Che nessuno dotato di scienza completa del tutto, faccia deviare le menti di costoro che hanno una scienza solo parziale.
(30) Abbandonando a me le opere tue, con la mente fissa al Primo Sé, libero dai desideri, esente da egoismo, combatti, libero da (codesta tua) febbre.
(31) Quegli uomini che, dotati di fede (e) liberi da sentimenti ostili (desiderio di discutere), di continuo si adeguano a questo mio insegnamento, son liberati dalle opere.
(32) Coloro invece che biasimando il mio insegnamento non lo seguono, questi appunto sappi che restano smarriti di fronte ad ogni sapienza, perduti e senza (porre) mente a nulla.
(33) In modo conforme alla sua propria natura agisce anche l'uomo che ha conoscenza. Gli esseri seguono (in genere) la loro propria natura. Che cosa mai potrà fare la coercizione?
(34) Attrazione e ripulsa che nascono da un senso si trovano ad esser fissati nei riguardi degli oggetti di (quel determinato) senso (cioè: ogni oggetto sensibile produce naturalmente attrazione o avversione, nel senso che gli si riferisce - N.T.). Sotto il dominio di queste cose mai venga alcuno, perché rappresentano per lui (gli eterni) due nemici.
(35) è migliore la legge intrinseca che a ciascuno pertiene, anche se solo inadeguatamente si riesca a praticarla, che non la legge altrui, anche se ben praticata. Migliore è la morte nel compimento della legge che ci compete, (perché) (l'attuazione del) la legge altrui porta con sé pericolo.
Il Nemico è Passione e Iracondia
Arjuna disse:
(36) Ma allora da che cosa aggiogato un uomo commette peccato, anche contro la sua volontà, o Varsneya, come per forza costretto?
Il Signore beato disse:
(37) Tale (come tu dici) è la brama, tale è l'ira, ed esse nascono da quel modo della natura che è il rajas, la passione, che tutto divora, tremendamente peccaminosa. Sappi che questo è, nel nostro mondo qui, il nemico.
(38) Come dal fumo è coperto il fuoco, come dalla polvere lo specchio, come dall'utero l'embrione, così questo mondo è ricoperto da quello (dal rajas, dalla passione).
(39) Avviluppata è la conoscenza da questo eterno nemico del saggio, o figlio di Kuntì, dal fuoco del desiderio, difficile da soddisfare, che assume forme a suo piacimento.
(40) I sensi, la mente, la facoltà di distinguere son chiamati il suo seggio; con questi avviluppando la conoscenza, esso svia l'anima incarnata.
(41) Quindi tu, o migliore fra i Bharata, dal principio controllando i sensi, uccidi il maligno distruttore della scienza e della conoscenza distinguente.
(42) Eccellenti sono i sensi, essi dicono, dei sensi piú grande è la mente, piú grande della mente è l'intelligenza distintiva, ma piú grande (ancora) dell'intelligenza è Lui (maschile nel testo).
(43) Così essendo venuto a conoscere colui che è al di là dell'intelligenza distinguente, rinsaldando il sé (inferiore) per mezzo del Sé, uccidi, o eroe dal forte braccio, il nemico che ha la forma del desiderio e che è così duro da affrontare.
Questo è il terzo capitolo che ha per titolo
"Lo Yoga dell'operare".
(KarmaYoga)
Capitolo quarto
La via della conoscenza
La tradizione dello Jnana Yoga
Il Signore Beato disse:
(1) Questo yoga imperituro io già proclamai a suo tempo a Vivasvan; Vivasvan lo espose a Manu e Manu lo descrisse a Iksvaku.
(2) Così trasmesso dall'uno all'altro lo conobbero i reali profeti (finché) quello yoga si perse in questo nostro mondo, per il gran trascorrer del tempo, o uccisor dei nemici.
(3) Appunto questo antico yoga ti è stato oggi esposto da me; perché tu sei il mio fedele e il mio amico; questo è appunto il sommo segreto.
Arjuna disse:
(4) Posteriore è stata la nascita di (Tua) Vostra Signoria, anteriore invece la nascita di Vivasvan: in che modo si deve dunque intendere il fatto che Tu al principio gli abbia esposto queste cose?
La Teoria degli Avatara
Il Signore Beato disse:
(5) Molte sono le mie vite passate e così anche le tue, o Arjuna; io, le conosco tutte, ma tu non le conosci, o distruttore dei nemici.
(6) Sebbene sia non-nato e sia inalterabile nel Sé, sebbene sia il signore delle creature, pur essendo saldamente fondato in quella natura che mi è propria, io vengo all'essere (empirico) attraverso il potere che mi appartiene.
(7) Laddove ha luogo un declino del giusto, o Bharata, e l'affermarsi dell'ingiustizia, allora io creo me stesso nella forma dell'incarnazione.
(8) Per la protezione dei buoni, per la distruzione dei malvagi, per dare stabile fondamento al regno della giustizia, io vengo nell'esistere di età in età.
(9) Colui che conosce nella loro autentica essenza la mia divina nascita e il mio operare, non avrà altra nascita, ma a me egli verrà, o Arjuna.
(10) Liberi da passione, paura ed ira, in me consistenti (fatti di me), in me rifugiati, molti purificati dalla pratica austera della conoscenza, hanno raggiunto la mia condizione di essere.
(11) Quando gli uomini vengono a me, allora appunto io li accolgo; da tutte le parti (seguono il mio cammino) sulle mie orme insistono gli uomini, o Partha.
(12) Coloro che desiderano la fruizione delle loro opere, sacrificano in questo mondo agli dei (cioè alle varie forme della divinità - N.T.), perché rapido (effimero) è in questo mondo umano il godimento delle conseguenze delle opere.
L'essenzialità dell'assenza del desiderio nell'opera divina
(13) Il sistema delle quattro caste fu creato da me secondo la suddivisione delle qualità e delle opere. Sappi che io, sebbene sia il creatore, sono uno che non agisce e non muta.
L'agire senza attaccamento non porta alla condizione di vincolo
(14) Le opere non mi rendono impuro; in me non ha sede desiderio alcuno di frutto; colui che così mi conosce non riceve vincolo dall'operare.
(15) Con questa consapevolezza si dette luogo all'operare anche da parte degli uomini antichi che anelavano alla liberazione. Per questo compi anche tu l'opera (come) compiuta dagli antichi nei tempi andati.
Agire e non-agire
(16) Che cos'è l'agire? Che cos'è il non-agire? A questo proposito, anche gli antichi saggi-poeti sono esitanti. Io ti rivelerò che cos'è l'agire, e ciò conoscendo sarai liberato dal male.
(17) Si deve intendere che cosa sia l'agire e così anche s'ha da intendere che cosa sia l'agire non-retto e bisogna intendere che cosa sia il non-agire. Estremamente ardua è la strada dell'agire.
(18) Colui che vede nell'agire il non-agire e l'agire nel non-agire, quegli è saggio fra gli uomini, quegli è uno che ha realizzato l'unione e che ha portato del tutto a compimento l'opera sua.
(19) Colui le cui imprese sono tutte esenti dall'atto di volizione che procede dal desiderio, colui le cui opere sono bruciate al fuoco del conoscere, questo, appunto, i sapienti chiamano un uomo di sapere.
(20) Avendo dismesso l'attaccamento al frutto dell'operare, sempre soddisfatto, senza doversi appoggiare ad alcunché, egli non fa nulla, sebbene sia sempre occupato ad agire.
(21) Se non ha desideri, (se vive) con il controllo del proprio pensiero e del proprio sé, per esser uno che ha rinunciato ad ogni forma di possesso, dando luogo ad un agire del tutto limitato alla sfera corporea, non commette male.
(22) Colui che rimane soddisfatto del guadagno fortuito, che ha superato il regno del due, che è libero da sentimenti ostili, (che è) uguale (a se stesso) nel successo e nell'insuccesso, anche agendo, non rimane soggetto a vincoli.
(23) L'operare dell'uomo il cui attaccamento è scomparso, che ha raggiunto la liberazione, il cui spirito è saldamente fondato nel conoscere, che opera come per un sacrificio, si dissolve completamente.
(24) (Per quest'ultimo) l'atto dell'offrire è Brahma, Brahma è l'offerta stessa rituale; da Brahma è versata (l'azione che si identifica con il sacrifizio) nel fuoco sacrificale. Da colui che realizza Brahma nel suo operare, Dio è ciò che deve esser attinto.
Il sacrificio e il suo valore simbolico
(25) Alcuni yoginah offrono il (divino) sacrificio come rivolto agli dei, altri (invece) offrono il sacrificio per il sacrificio (per mezzo del sacrificio) nel fuoco di Brahma.
(26) Altri sacrificano l'udito e gli altri sensi nel molteplice fuoco del controllo di sé; altri offrono il suono e gli altri oggetti di senso nel fuoco molteplice del senso.
(27) Altri ancora offrono tutti gli atti dei loro sensi e gli atti del flusso vitale (prana) nel fuoco dello yoga dell'autocontrollo, acceso dalla conoscenza.
(28) Altri, in simile modo, son quelli che offrono sacrifici materiali (oppure) il sacrificio della loro vita da penitenti (oppure) il sacrificio degli esercizi yogici; ed altri ancora, asceti che osservano i voti, (son quelli che) offrono in sacrificio i loro studi e la loro dottrina.
(29) Altri poi similmente, interamente dediti al controllo del respiro, arrestando i movimenti di espirazione ed inspirazione, sacrificano il fiato che inspirano in quello che espirano e il fiato che espirano in quello che inspirano.
(30) Altri (poi), che son coloro che limitano il cibo, sacrificano i flussi vitali (immergendoli) negli stessi flussi vitali. Tutti costoro nell'insieme sono quelli che sanno che (cosa) sia il sacrificio, e (sono coloro che) distruggono le impurità per mezzo del sacrificio.
(31) Coloro che mangiano il cibo sacro che resta del sacrificio attingono l'eterno Brahma; questo mondo non è di colui che non offre alcun sacrificio: come (potrebbe esserlo) un altro (mondo), o ottimo fra i Kuru (Arjuna)?
(32) Così dunque varie forme di sacrificio si dispiegano nel volto del Brahman. Sappi che esse tutte nascon dall'operare e, così sapendo, avrai la liberazione.
Conoscere ed Operare
(33) La conoscenza come sacrificio è maggiore di ogni sacrificio materiale, o distruttor dei nemici; ogni opera, senza escluderne alcuna assolutamente, interamente si risolve nel conoscere.
(34) Impara ciò con sentimento di sottomissione, formulando questioni e con reverente rispetto. Gli uomini che sanno e che hanno avuto la conoscenza immediata della verità ti mostreranno l'oggetto del conoscere.
Elogio del conoscere
(35) E quando tu avrai conosciuto questo, non cadrai di nuovo, o Pandava, nella confusione (di prima); per questo mezzo potrai vedere gli esseri tutti senza esclusione, nel Sé, quindi, in Me.
(36) Anche se tu fossi il piú (grande) peccatore di tutti i malvagi, potrai passare attraverso ogni peccato e superarlo, con il solo mezzo della nave del conoscere.
(37) Come il fuoco che arde riduce in cenere ciò che lo alimenta, o Arjuna, così il fuoco del conoscere riduce in cenere tutte le opere.
(38) Non si conosce su questa terra mezzo di purificazione che sia pari al sapere; colui che ha raggiunto la perfezione yogica lo trova, coll'andar del tempo, nel suo proprio sé, come qualcosa che gli appartiene.
La fede è necessaria per il raggiungimento della conoscenza
(39) Colui che ha fede, che ha ciò (la conoscenza-sapienza) per fine supremo, colui che ha il controllo dei sensi consegue la conoscenza-sapienza e, avendo conseguito la conoscenza, ben presto raggiunge la pace suprema.
(40) Ma colui che è completamente privo di conoscenza, colui che non ha fede, che ha l'animo dubbioso, perisce. Per colui che ha l'animo dubbioso non c'è né questo mondo, né un altro, non c'è felicità.
(41) Le opere non vincolano colui che ha rinunciato alle opere attraverso lo yoga, che ha distrutto i dubbi attraverso la conoscenza e che ha il dominio di sé, o possessore della ricchezza.
(42) Perciò, dopo aver tagliato con la spada della conoscenza questo dubbio che ha preso sede nel tuo cuore e che è opera dell'ignoranza, ricorri allo yoga e sorgi, o Bharata.
Tale è il quarto capitolo intitolato
"Lo Yoga del Conoscere - Sapere".
(Jnana Yoga)
Capitolo quinto
La vera rinuncia
Samkhya e Yoga portano allo stesso fine
Ariuna disse:
(1) Tu lodi, o Krsna, (nel contempo) la rinuncia alle opere e poi anche lo yoga (che comporta la loro realizzazione senza attaccamento). Quale delle due cose sia migliore (che una dov'essere), dimmi, come cosa ben stabilita.
Il Signore Beato disse:
(2) La rinuncia alle opere e il compierle senza intenzione egoistica son cose, tutte e due, che danno luogo a quella felicità della quale non c'è una maggiore. Ma dei due (termini dell'alternativa) il compiere le opere senza intenzione egoistica è superiore alla (pura e semplice) rinuncia alle opere (stesse)
(3) Colui che non odia, che non ha desideri deve essere chiaramente conosciuto come colui che è sempre permeato dello spirito della rinuncia; in quanto è esente dalla dualità, o eroe dal braccio possente, egli è facilmente libero da legame.
(4) Gli sciocchi proclamano che il Samkhya e lo Yoga sono due cose separate, ma non così proclamano coloro che sanno. Colui che si dedica in modo compiuto anche ad una (sola dottrina), ottiene il frutto di tutte e due.
(5) Quella condizione che è attinta da coloro che seguono la via della rinuncia (e della conoscenza intellettiva), essa appunto è raggiunta anche dagli uomini che seguono la via dell'operare. Colui che vede essere una sola (via) le vie della rinuncia e dell'azione, quello appunto vede (veramente).
(6) Ma la rinuncia, o uomo dalle braccia possenti, difficile è da ottenere senza lo Yoga. L'asceta che si dedica alla via dello yoga (del karmayoga), attinge ben presto l'Assoluto.
(7) Colui che dedicandosi costantemente alla via dello Yoga ha l'animo puro, colui che ha vinto se stesso, che è signore dei sensi, il cui sé è divenuto il sé di tutti gli esseri, anche se opera, non è macchiato (dal suo operare).
(8-9) "Io non faccio in realtà cosa alcuna": così può pensare colui che ha raggiunto l'unità con il divino e che conosce la verità delle cose; vedendo, udendo, avvertendo sensazioni tattili, percependo odori, gustando sapori, camminando, dormendo, respirando, parlando, respingendo, afferrando, aprendo gli occhi, chiudendoli, pur nell'atto di far tutto ciò, si rende conto del fatto che sono i sensi a volgersi intorno agli oggetti dei sensi.
(10) Colui che opera, dopo aver rinunciato all'attaccamento, deponendo le sue opere in Brahma, lui appunto non è macchiato dal peccato, così come foglia di loto non (è toccata) dall'acqua.
(11) Gli yoginah (qui, coloro che seguono la via dell'azione) compiono le loro opere con il corpo, con la mente, con la capacità discriminatrice intellettiva o anche soltanto coi sensi, rinunciando all'attaccamento, per purificare i loro sé individuali.
(12) Colui che realizza lo yoga secondo questi principii, rinunciando al frutto del suo operare, raggiunge la pace che non vacilla, ma colui che cosi non realizza lo yoga, essendo condizionato dai suoi desideri e restando attaccato al frutto dell'azione, subisce (di conseguenza) la legge del vincolo.
(13) L'anima incarnata, col rinunciare a tutte le azioni per un atto interiore, padrona di sé, a suo agio dimora nella città dalle nove porte, senza operare e senza far operare.
(14) Il Sommo non crea ciò che dà luogo agli atti, non gli atti stessi che gli uomini compiono, non (crea) la connessione del frutto con l'opera (che ne è condizione); ma la natura stessa delle cose esprime (tutto ciò).
(15) Colui che tutto compenetra non assume su di sé il merito di alcuno, né di alcuno il peccato. La conoscenza è avvolta nell'ignoranza; per questo, le creature sono smarrite.
(16) Coloro negli spiriti dei quali l'ignoranza è distrutta dalla conoscenza, di costoro la conoscenza manifesta, simile a sole splendente, l'Essere SOMMO.
(17) Coloro che hanno lo spirito pieno di Quello, che a Quello volgono le anime loro, che su Quello si fondano, che hanno Quello per fine principale (della loro pietas) attingono una condizione dalla quale non si torna indietro, essi che per mezzo della conoscenza fanno cader via le sozzure.
(18) I saggi son tali da vedere con lo stesso occhio un brahmano, di sapienza e modestia dotato, una vacca, un elefante, un cane e un uomo che (non appartiene a casta alcuna) mangi carne di cane.
(19) Anche in questo mondo qui la condizione mondana è vinta da coloro il cui spirito si fonda sul perfetto equilibrio. Brahma è esente da macchia ed è identico a sé; di conseguenza essi sono saldamente fondati nella realtà divina.
(20) Non ci si deve rallegrare nell'ottenere ciò che ci piace, né rattristare per aver in sorte ciò che non ci piace: colui che (in questo modo) è fermo nell'intelletto, fermo nell'animo, lui che conosce il Brahman, nel Brahman saldamente è fondato.
(21) Colui che non ha l'animo attaccato alle sensazioni relative agli oggetti esterni, trova quella felicità che ha sede nel Sé. Questi, che per mezzo dell'azione yogica, ha raggiunto l'equilibrio nel Brahman, gioisce di una imperitura felicità.
(22) Quei piaceri, quali che siano, che nascono dal contatto con gli oggetti, sono soltanto fonte di dolore, hanno un principio ed una fine, o figlio di Kuntì; di essi non gode il saggio.
(23) Chi è capace di aver la meglio, anche in questo mondo, sugli impulsi del desiderio e dell'ira, prima della liberazione dal corpo, quegli appunto è uno che ha raggiunto l'equilibrio interiore, quegli è un uomo felice.
La pace che sgorga dal di dentro
(24) Colui che possiede la felicità interiore, che possiede la letizia interiore ed è, parimenti, dotato di una luce interiore, quello yogin, sustanziato di Dio, attinge la divina beatitudine.
(25) Conseguono la divina beatitudine i santi veggenti i cui peccati sono ridotti a nulla, il cui ondeggiare fra due termini è spezzato (i cui dubbi sono fugati), che hanno raggiunto l'equilibrio spirituale e che provano piacere nel bene di tutti gli esseri.
(26) Presso gli asceti che si sono liberati del desiderio e dell'ira, che hanno sottomesso i loro spiriti e che conoscono il Sé si trova la beatitudine Brahmanica.
(27-28) Rendendo del tutto estranee le percezioni relative agli oggetti esterni, e concentrando lo sguardo fra le due sopracciglia, rendendo uguali ispirazione ed espirazione moventisi all'interno delle narici, il saggio che ha vinto i sensi, l'animo, la capacità discriminante, che è tutto fisso al fine della liberazione, che si è liberato del desiderio, del timore, dell'ira, quello appunto davvero è per sempre libero.
(29) Ed avendo conosciuto me come colui che gode dei sacrifici e delle penitenze, gran signore del mondo intero, amico di tutti gli esseri, raggiunge la pace.
Questo è il quinto capitolo intitolato
"Lo Yoga della rinuncia all'azione".
(Karmasamnyasa Yoga)
Capitolo sesto
Il vero Yoga
Rinuncia e azione sono una sola cosa
Il Signore beato disse:
(1) Colui che compie l'opera, che deve compiere, senza prendere in considerazione il frutto dell'opera stessa, quegli è il vero samnyasin (operatore di rinuncia), quegli è il vero yogin (che agisce nella rinuncia), non colui che non accende il fuoco sacro e che non compie i riti.
(2) Ciò che chiamano rinuncia sappi essere attività nell'autocontrollo, o Pandava, che in nessun modo può diventare uno yogi (attivo nell'autocontrollo) chi non ha messo da parte i suoi desideri egoistici.
Il mezzo ed il Fine
(3) L'agire è detto essere il mezzo del saggio desideroso di attingere lo yoga; la calma profonda è detta essere il mezzo di colui che si è elevato ad attingere lo yoga.
(4) Quando l'asceta non è piú, in verità, attaccato agli oggetti sensibili ed alle opere ed ha rinunciato a tutti i suoi desideri egoistici, allora si dice che si è elevato ad attingere lo yoga.
(5) Che (l'uomo) elevi se stesso per mezzo di se stesso; che egli non degradi se stesso; solo il Sé è amico del sé, solo il Sé è nemico del sé.
(6) Il Sé è amico del sé di colui, per il quale il sé è stato vinto dal Sé, ma contro colui che non possiede il Sé, quello che è il Sé autentico in ostilità si potrà volgere, come nemico.
(7) Il Sé sommo di colui che ha conseguito vittoria sul suo sé e che ha (di conseguenza) raggiunto la serenità (del dominio di sé) è tutto inteso a se stesso, nel freddo nel caldo nella felicità nella sventura, e ugualmente nell'onore e nel disonore.
(8) Lo yogin la cui anima si soddisfa della sapienza e della conoscenza, immutabile, padrone dei sensi, per il quale un pugno di terra, un sasso, un pezzo d'oro sono la stessa cosa, si dice aver raggiunto l'equilibrio yogico.
(9) Colui che ha lo stesso atteggiamento spirituale nei confronti degli amici e dei compagni, dei nemici e degli indifferenti, degli imparziali, di quelli che hanno odio e di quelli che sono parziali, nei confronti dei santi e ugualmente dei peccatori, quegli si distingue (fra tutti).
Ha importanza fondamentale il controllo continuo dello spirito e del corpo
(10) Lo yogin deve continuamente fissare la mente sul Sé universale, in solitudine restando, tutto solo, nel dominio del proprio spirito, esente da desideri e libero dal desiderio di appropriarsi di qualcosa.
(11) Dopo aver fatto mettere in un posto pulito il suo solito seggio, non troppo elevato né troppo basso, coperto di erba, di una pelle d'antilope, di una veste, una cosa sull'altra,
(12) allora, messosi sul seggio, fissando la mente su un unico punto, avendo messo sotto controllo le attività del pensiero e dei sensi, che egli pratichi lo Yoga per la purificazione del sé.
(13-14-15) Sempre allo stesso modo mantenendo immoti il corpo la testa e il collo, stando fermo, guardando fissamente la punta del proprio naso e senza guardare lo spazio d'intorno, coll'animo tranquillo e senza paura, saldo nel voto di castità dell'aspirante brahmano, dopo aver domato la sua psiche, col pensiero a me fiso, coll'animo in armonia sieda, col pensiero a me solo intento. Lo yogin che ha sottomesso il suo animo, tenendo sempre se stesso così armonizzato, raggiunge la pace, il supremo nirvana, che in me ha la sua sede.
(16) Ma lo Yoga non è in verità di colui che troppo mangia, né di colui che non mangia affatto (che troppo si astiene dal mangiare); non è di colui che ha l'abitudine del troppo sonno o di colui che (troppo) veglia, o Arjuna.
(17) Dell'uomo che è misurato negli alimenti e nel riposo, di colui che appropriatamente agisce negli atti della vita, di colui che con misura dorme e sta sveglio, diventa proprio lo Yoga che distrugge la differenza.
Lo Yogi perfetto
(18) Allorchè la mente che ha raggiunto l'equilibrio è fondata sul Sé e solo su di esso, esente da desideri, da tutte le passioni, si dice allora che ha raggiunto l'equilibrio yogico.
(19) Come una lampada che sta al riparo dal vento non si muove, cosi è dello yogin che ha sottomesso il suo spirito e che realizza l'unione col Sé.
(20) Ciò in cui il pensiero si ferma, bloccato dalla pratica della meditazione, ciò in cui (l'asceta) vedendo il Sé attraverso il sé, gode del Sé,
(21) ciò che egli conosce quale suprema gioia, accessibile alla capacità discriminativa e al di sopra dei sensi e in cui una volta presa stabile dimora non si muove dalla verità,
(22) quella conquista della quale l'asceta, una volta che l'abbia ottenuta, pensa che non possa esservi una superiore, nella quale, una volta presa stabile dimora, non è piú scosso neanche dalla sciagura che è di per sé la piú grave;
(23) si conosca come quello che chiamano Yoga questo distacco dalla somma delle cose che danno dolore; questo Yoga dev'essere realizzato con sicurezza e con animo per nulla afflitto (sereno).
(24) Rinunciando a tutti, senza eccezione, i desideri che sorgono dalla brama egoistica, con la mente tutti i sensi frenando da ogni parte,
(25) che egli a poco a poco cessi di agire, per mezzo della capacità discriminatrice sostenuta dalla fermezza; avendo la mente fissa sul Sé, non pensi ad alcuna altra cosa.
(26) Per qualsiasi cosa la mente si manifesti esagitata ed instabile, frenandola, la conduca sottomessa solo al Sé eterno.
(27) Perché la felicità somma sopravviene allo yogin dallo spirito calmo, le cui passioni si siano calmate e che, senza macchia, è divenuto una cosa sola con Brahma.
(28) Lo yogin che si è liberato di ogni sozzura, cosi tenendo il sé in costante armonia, con facilità esperisce l'infinita beatitudine del tatto di Brahma.
(29) Colui il cui sé ha raggiunto l'armonia dello yoga pensa il Sé in tutti gli esseri e tutti gli esseri nel Sé, dappertutto egli vede (o immediatamente pensa) nello stesso modo.
(30) Per colui che vede me dappertutto e vede tutto in me io mai non perisco né mai lui perisce per me.
(31) Lo yogin che nell'unità stando onora me come in tutti gli esseri presente, in me vive, da qualsiasi parte si volga.
(32) Colui che dappertutto considera ugualmente in simiglianza di se stesso, (prendendo se stesso come punto di riferimento per giudicare gli altri nello stesso modo), sia per le cose piacevoli sia per le spiacevoli, quello è considerato uno yogin perfetto, o Arjuna.
Il controllo del manas (insieme degli agglomerati psichici) è difficile ma è possibile
Arjuna disse:
(33) Di questo yoga che da te è spiegato in termini di armonia dello spirito, o Madhusudana, non vedo lo possibilità di una fondazione stabile, a causa dell'irrequietezza del manas (delle forze psichiche).
(34) Perché l'insieme delle forze psichiche è irrequieto, o Ksrna, è dotato di forza disgregatrice, è forte, è difficile da rimuovere. La possibilità di controllarlo io penso sia tanto poco agevole, quanto poco lo è controllare il vento.
Il Signore Beato disse:
(35) Senza dubbio, o signore dal forte braccio, il manas (il complesso delle forze psichiche) è difficile da controllare ed è irrequieto; tuttavia, o figlio di Kuntí, se ne può aver ragione per via d'esercizio e con la pratica. Dell'Indifferenza.
(36) Lo yoga è difficile da realizzare, così io penso, da parte di uno che non ha il controllo di sé; invece, può esser realizzato da parte di uno che, avendo l'animo domato, si sforzi con i propri mezzi.
Arjuna disse:
(37) Colui che, sebbene partecipe di fede, non riesca a realizzare l'ascesi, avendo l'animo che trascorre via dallo Yoga, non potendo raggiungere la perfezione yogica, per quale via deve andare egli o Krsna?
(38) Non è forse vero che colui che ha fallito e l'una e l'altra via perisce come una nuvola dispersa, senza che possa appoggiarsi ad alcunché, o eroe dal braccio possente, (e vaga) smarrito sulla strada che porta al Brahman?
(39) Tu, o Krsna, dovresti dissipare completamente questo mio dubbio, che davvero altri all'infuori di te non esiste, che sia in grado di dissiparlo.
Il Signore beato disse:
(40) O Partha, né in questo mondo né nell'altro può egli perire; perché nessuno che operi nobilmente percorre, mio caro, la strada della sventura.
(41) Avendo raggiunto il mondo dei bene-operanti (e quivi) per molti e molti anni avendo dimorato, colui che (per l'addietro) ha abbandonato la via dello Yoga, di nuovo rinasce nella casa di quelli che son mondi da macchia e son ricchi di qualità.
(42) Oppure nasce nella stirpe degli yoginah che sono saggi: ché in verità una nascita del genere è piú difficile da ottenere nel mondo.
(43) In questa condizione egli riassume i modi della concentrazione interiore, che erano già appartenuti alla vita anteriore, e attraverso di essi ancora di piú si sforza per la perfezione, o gioia dei Kuru.
(44) Da quella sua pratica anteriore egli è trascinato (ad operare yogicamente) senza che egli possa nulla in contrario; anche colui che desidera la conoscenza yogica sfugge ai limiti della sacra parola vedica.
(45) Ma lo yogin completamente mondo da peccati, che lotta con sforzo continuo, perfezionandosi attraverso parecchie nascite, con questi mezzi raggiunge il supremo fine.
Lo Yogin Perfetto
(46) Lo yogin è superiore agli asceti; e anche rispetto a quelli che conseguono la conoscenza è ritenuto superiore lo yogin; anche degli uomini che compiono i riti lo yogin è superiore: per questo diventa uno yogin, o Arjuna.
(47) E di tutti gli yoginah colui che rende culto a me, pieno essendo di fede, con il sé interiormente in me rifugiato, quello appunto è da me ritenuto essere colui che meglio ha realizzato lo Yoga.
Questo è il sesto capitolo che è intitolato
"Lo yoga della meditazione".
(Dhyana Yoga)
Capitolo settimo
Dio e il mondo
Dio è natura e spirito
il Signore Beato disse:
(1) Questo ascolta, o Partha, come (cioè) senza dubbio conoscerai me pienamente, in me l'animo intendendo, realizzando lo Yoga (e) in me avendo il rifugio.
(2) Io ti farò partecipe di questa sapienza e della giusta conoscenza che l'accompagna: quando uno abbia questa sapienza nessun'altra cosa resta in questo mondo, che debba ancora essere conosciuta.
(3) Fra mille uomini è difficile che pur uno soltanto si sforzi di raggiungere la perfezione e di coloro che pur si sforzano e raggiungono la perfezione, è difficile che pur uno riesca a conoscermi in verità.
Le due nature del Signore
(4) La terra, l'acqua, il fuoco, l'aria, l'etere, il manas e la capacità discriminante, il senso di sé, tutto questo costituisce la mia natura in otto forme divisa.
(5) Questa è la (mia) realtà inferiore relativa a questo mondo qui. Conosci però l'altra mia superiore natura, che consiste nella vita, o eroe dal forte braccio, da cui questo mondo è sostenuto (nell'essere).
(6) Renditi conto del fatto che tutti gli esseri hanno questa origine. Io sono l'Origine del mondo intero e ne sono nel contempo la dissoluzione.
(7) Superiore a me non c'è cosa alcuna, o possessore della ricchezza, tutto questo mondo è intessuto su di me, come perle (legate) in un filo.
(8) lo sono nelle acque il sapore, o figlio di Kuntí, nella luna e nel sole io sono la luce; sono la sillaba sacra AUM in tutti i Veda, sono il suono nell'etere e negli uomini la virilità.
(9) E nella terra sono il puro profumo e nel fuoco l'ardente splendore, in tutti gli esseri sono la vita e negli asceti la penitenza.
(10) Sappi, o Partha, che io sono il seme eterno di tutti gli esseri; io sono il discernere di coloro che del discernimento partecipano, dei gloriosi la gloria io sono.
(11) E sono la forza dei forti, da desiderio e da passione libera. Negli esseri sono il desiderio che alla giustizia del dharma non si oppone, o ottimo fra i Bharata.
(12) E quali che siano le condizioni dell'essere, armoniose, appassionate, tenebrose, sappi che esse da me, tutte, provengono: io non sono in esse, ma esse sono in me.
I modi della natura sono motivo di confusione per gli uomini
(13) Tutto questo mondo, tratto in inganno da queste condizioni dell'essere determinate dalle qualità, non riconosce me che sono superiore ad esse ed imperituro.
(14) In realtà questa mia divina potenza creatrice, che si realizza nelle tre qualità, è difficile da superare. Coloro (però) che cercano rifugio in me, soltanto, riescono a superarla.
La condizione di coloro che fanno il male
(15) Coloro che fanno il male, incoscienti come sono, gente vile fra gli uomini, la cui facoltà conoscitiva è rapita dall'illusione e che partecipa di demoniaca natura, non cercano e non trovano in me rifugio.
Le diverse specie della devozione
(16) Gli uomini che fanno il bene, (che sono, essendo) di quattro specie, onorano me, o Arjuna: l'uomo caduto in disgrazia, l'uomo che cerca la conoscenza, l'uomo che cerca la ricchezza e l'uomo che possiede la sapienza, o ottimo fra i Bharata.
(17) Di costoro il saggio che è sempre unito alla divinità, che ha devozione per colui che è l'Unico e il Solo, è il migliore; sommamente caro invero al saggio io sono, ed egli lo è a me.
(18) Nobili sono per certo tutti costoro, ma il saggio è davvero il Sé, io giudico; avendo egli raggiunto il perfetto equilibrio yogico, in me trova il suo rifugio, come meta suprema.
(19) Al termine di molte vite, l'uomo che è dedito alla conoscenza a me ricorre, (sapendo che) Vasudeva è tutto (ciò che esiste). Una siffatta grande anima è difficile da trovare.
La tolleranza
(20) Quelli che hanno la facoltà discretiva rapita da vari desideri, ricorrono ad altre divinità , osservando uno un rito, l'altro un altro, a ciò portati dalle loro proprie nature.
(21) Qualsiasi entità determinata un devoto desideri con fede venerare, la fede di lui io rendo immutabile e salda.
(22) Realizzando in sé quella fede, egli cerca di rendersene propizio l'oggetto (la divinità particolare, rappresentativa della divinità in senso speculativo - N.T.) e da esso ottiene (l'adempimento dei) suoi desideri, adempimento che soltanto io stabilisco.
(23) Ma ben presto ha un termine il frutto (realizzato da) questi uomini di corta intelligenza; coloro che onorano gli dei, agli dei si rivolgono, ma i miei devoti vengono a Me.
L'ignoranza come potere
(24) Gli uomini privi d'intelletto pensano Me, l'Immanifesto, come caduto nel (regno del) la manifestazione, non avendo conoscenza della mia realtà superiore, che è senza mutamento e tutte le cose sopravanza.
(25) Poiché sono celato dal mio (stesso) potere creativo, non posso essere a tutti manifesto. Questo illuso e confuso mondo quaggiù non conosce Me, il non-nato, immutabile.
(26) Io conosco gli esseri che passarono, gli esseri che ora trascorrono, gli esseri che saranno, ma non c'è alcuno che conosca Me.
(27) Tutti gli esseri in questo mondo della manifestazione, o uccisor dei nemici, cadono nell'illusione, o Bharata, a causa del turbamento dovuto agli opposti, prodotti dal desiderio e dall'odio.
L'oggetto della conoscenza
(28) Ma gli uomini che compiono azioni meritorie, nei quali il principio del male, che prima vi dimorava, è venuto meno, liberi dal turbamento prodotto dagli opposti, onorano Me, fedeli ai loro voti religiosi.
(29) Coloro che a Me consacrandosi, lottano per la liberazione dalla vecchiaia e dalla morte, questi appunto conoscono l'Assoluto in tutto e per tutto, (conoscono) il Sé Primo e il karma (il principio dell'agire) esente da imperfezioni.
(30) Coloro che conoscono Me come quello che rappresenta l'essenza degli esseri e del divino e che rappresenta l'essenza del sacrificio, quelli appunto, realizzando la concentrazione nel loro spirito, conoscono Me anche nel momento del loro andarsene (da questo mondo) (anche nell'ora della morte).
Questo è il settimo capitolo intitolato
"Lo yoga della sapienza e della conoscenza distintiva".
(Jnanavijnana Yoga)
Capitolo ottavo
Il processo dell'evoluzione cosmica
Domande poste da Arjuna
Arjuna disse:
(1) Che cos'è il Brahman? Che cos'è il Sé Primo? Che cos'è il "principio dell'azione", o ottimo fra gli uomini? Che cos'è che si chiama essere originario? Che cos'è che è chiamato "divino originario"?
(2) Che cos'è che costituisce il sacrificio supremo in questo corpo quaggiù e come, o Madhusudana (uccisore di Madhu)? E come nell'ora della dipartita puoi essere tu conosciuto da coloro che hanno domato se stessi?
Le risposte di Krsna
Il Signore beato disse:
(3) Il Brahma è l'indistruttibile, il Supremo; Sé originario è chiamata l'essenza fondamentale di ciascuno e di tutti; conosciuta e distinta come karma (principio dell'agire) è la forza creatrice che dà origine all'esistenza degli esseri.
(4) La natura mutevole (l'esser-reale mutevole) è il fondamento che dà origine a tutte le cose che esistono; lo spirito universale è il fondamento che dà origine a tutte le cose che hanno natura divina; ed io stesso soltanto sono quaggiù appunto nel corpo, l'origine dei sacrifici, o ottimo fra gli esseri in un corpo.
L'anima va nell'atto della dissoluzione corporea a realizzare quella condizione alla quale è, in quel momento, disposta
(5) Colui che, al momento di morire, ha la mente a me solo rivolta, lasciando il corpo, e (cosí) compie la sua dipartita, quello appunto viene al mio modo di essere; non c'è a questo proposito dubbio alcuno.
(6) Quale che sia il modo di essere al quale uno pone mente, quando alla fine abbandona il suo corpo, a quel modo di essere appunto o figlio di Kuntì egli perviene, dacché è sempre assorbito nel pensiero di esso (sempre addiviene col pensiero alla realizzazione di questo modo di essere).
(7) Perciò in tutti i momenti ricòrdati di Me e lotta (per realizzarmi). Se avrai psiche e intelletto su me concentrati, a Me soltanto tu verrai, senza dubbio.
(8) Colui che medita costantemente con il pensiero, che nella pratica incessante (della meditazione) ha raggiunto l'armonia e altrove non trascorre, (quegli) o Partha raggiunge la Somma Divina Persona.
(9-10) Chiunque mediti sul Veggente Antico (dell'Origine), colui che guida (l'Universo), colui che è più sottile del sottile, colui che tutto sostiene, la cui forma non è pensabile, colui che ha il colore del sole, al di là delle tenebre, al tempo della sua dipartita, con spirito che nulla riesce a scuotere, con lo spirito in armonia, e con la forza dello Yoga, facendo ben entrare la forza vitale in mezzo ai due sopraccigli, (egli) raggiunge la suprema divina Persona.
(11) Io ti descriverò succintamente quella condizione (spirituale) che i conoscitori dei Veda chiamano ciò che non può perire, quella (condizione) in cui entrano gli asceti che si son liberati delle passioni e desiderando la quale, attuano la pratica dell'austerità.
(12-13) Controllando tutte le porte del corpo e confinando la psiche nel cuore, nel capo collocando la propria forza vitale, ben fermo nella concentrazione yogica, colui che pronunciando la sillaba unica e sacra AUM, (che si identifica con lo stesso) Brahman, a me cosi ponendo mente si diparte, abbandonando il suo corpo, se ne va alla meta piú alta.
(14) (Di) colui il cui pensiero non ha altro oggetto che me e sempre me, colui che in me tiene fissa la mente in modo continuo, di lui che è uno yogin che ha se stesso sotto assoluto costante controllo io sono, o Partha, facile preda.
(15) A me essendo venute le grandi anime, avendo raggiunto la somma completa-perfezione, non vanno a nuova nascita, a quella che è dimora di sciagura, sede dell'effimero.
(16) A partire dal mondo di Brahma (non del Brahman) in giú, (tutti i) mondi sono soggetti a rinascita, o Arjuna, ma (uno che abbia) raggiunto Me, o figlio di Kuntí, non conosce nuova nascita.
(17) Coloro che sanno che il giorno di Brahma ha la durata di mille età e che la notte (di Brahma) mille età dura, quegli uomini sono i conoscitori del giorno e della notte.
(18) Tutte le comanifestazioni dal non-manifestato hanno nascimento al venir del giorno ed ivi stesso, in ciò che ha nome il non-manifesto, si dissolvono al venir della notte.
(19) Tutto quest'insieme degli esistenti appunto, che nasce e torna a rinascere, si dissolve di necessità al venir della notte, o Partha, e ritorna all'essere al venire del giorno.
(20) Ma al di là di questo Immanifestato c'è un altro Essere eterno non manifestato, il quale non perisce, anche se tutti gli esistenti periscono.
(21) Il Non-manifesto è chiamato anche colui che non può perire: lo chiamano Condizione suprema; coloro che lo hanno raggiunto non tornano indietro: quello (costituisce) la mia suprema dimora.
(22) Siffatto è il Supremo Purusa, o Partha, che può e deve essere conquistato per mezzo di una devozione immutevole, in seno al quale tutti gli esistenti dimorano e dal quale tutto questo mondo è diffuso.
La duplice via
(23) Ma ora, ottimo fra i Bharata, (ti) dirò in qual tempo gli yoginah essendo morti, ritornano, e in quale essendo morti, non ritornano.
(24) (Quando risplendono) il fuoco, la luce, il giorno, la quindicina chiara della luna, i sei mesi del cammino del sole verso il cielo del nord, allora gli uomini che conoscono il Brahman, al Brahman pervengono.
(25) (Quando ci sono) il fumo, la notte, così come la quindicina buia del mese lunare, i sei mesi del cammino del sole verso i cieli del sud, allora è il tempo in cui lo Yogi (essendovi morto) avendo raggiunto la luce lunare, ritorna.
(26) La luce e le tenebre, tali si pensa che siano gli eterni sentieri del mondo. Per mezzo dell'uno si va là donde si è liberati dal dover tornare, per mezzo dell'altro invece si ritorna di nuovo (su questa terra, ossia si è costretti, purtroppo, a tornarvi).
(27) Lo yogin che conosce questi sentieri, o Partha, non può in alcun modo sviarsi. Perciò costantemente realizza l'equilibrío yogico, o Arjuna.
(28) Lo yogin essendosi reso conto di tutto ciò, si rende superiore al frutto delle opere meritorie che è assegnato per lo studio dei Veda, per i sacrifici, per le penitenze e per le offerte ed attinge la condizione suprema e originaria.
Questo è il capitolo ottavo che ha per titolo
"Lo yoga dell'Assoluto che non può perire".
(Aksarabrahma Yoga)
Capitolo nono
Il Signore è superiore alla creazione
Il Mistero Supremo
Il Signore Beato disse:
(1) A te che non hai astio nell'animo, rivelerò la conoscenza-sapienza che è piú segreta e che va congiunta alla conoscenza analitica conoscendo la quale, sarai libero dal male.
(2) Questa è conoscenza da re, segreto sovrano, questa è suprema santità, apprendibile per via di diretta esperienza, in accordo con la legge universale, è facile da attuarsi, non può perire.
(3) Gli uomini che non hanno fiducia in questo metodo (in questa legge di vita), o distruttore dei nemici, senza attingere la mia realtà, ritornano sulla strada della incarnazione mortale.
Il Signore incarnato come realtà suprema
(4) Da me si diffonde tutto questo mondo attraverso la mia forma non-manifestata; tutte le cose trovano in me la loro dimora, ma io non dimoro in esse.
(5) Eppur tuttavia gli esseri non dimorano in me: considera il mio divino potere; il mio Sé che dà origine agli esseri è ciò che li sostiene, ma non dimora in essi.
(6) Come la possente aria in movimento, che continuamente va da ogni parte quaggiú, ha il suo fondamento nello spazio etereo, nello stesso modo, considera, hanno tutti gli esseri in me la loro sede.
(7) Tutti gli esseri, o figlio di Kuntì, alla fine di un kalpa (o ciclo cosmico) tornano alla mia realtà; e al principio del ciclo successivo di nuovo io li emetto.
(8) Avvalendomi di quella realtà che è la mia propria, se sempre priva di nuovo emetto tutta questa molteplicità di esistenti, priva di ogni potere, dal momento che giace sotto il dispotismo della prakrti o natura.
(9) E tali atti non mi vincolano neppure, o possessore della ricchezza, poiché io sto a sedere come colui che non è impegnato, non essendo io condizionato da attaccamento in questi atti.
(10) Avendo me come guida, la natura dà origine all'insieme delle cose mobili e delle immobili; con questo mezzo (per questa via), o figlio di Kuntì, il mondo si volge e di nuovo si volge.
La devozione al Supremo reca con sé notevoli ricompense: forme devozionali minori hanno minori ricompense
(11) Coloro che hanno la mente offuscata tengono in dispregio me, quando sono entrato in un corpo umano, perché non conoscono la mia suprema realtà (e cioè me) come signore universale degli esistenti.
(12) Poiché essi si fondano sulla natura ingannevole diabolica e demoniaca, sono esseri dalle vane aspirazioni, dalle azioni vane, dal vano conoscere e sono privi di capacità giudicativa.
(13) Invece, o Partha, le grandi anime che hanno il loro rifugio nella natura divina, avendo riconosciuto (in) me l'origine imperitura degli esseri, mi onorano con mente, che ad altro non può esser rivolta.
(14) Sempre glorificando me, compiendo uno strenuo sforzo e rimanendo saldi nei propri voti, e me onorando con devozione, a me rendono l'omaggio del culto, avendo costantemente la disciplina dell'animo.
(15) Altri con il sacrificio della sapienza rendendo a me il culto del conoscere, onorano me come unità (e), cosa singola per cosa singola, come molteplicità, alla varietà molteplice delle direzioni volgendo il viso.
(16) Io sono l'offerta rituale, io sono il sacrificio, io sono l'oblazione resa agli antenati, io sono l'erba medicinale, io sono l'inno sacro, e sono anche il burro fuso, sono il fuoco e sono l'oggetto dell'offerta sacrificale.
(17) lo sono il padre di questo mondo, la madre, colui che lo sostiene e il suo supremo signore; sono l'oggetto del conoscere (di ogni conoscere possibile), il mezze della purificazione, la sillaba aum, il rk il sama e lo yajus ugualmente (io sono anche tutti i Veda).
(18) lo sono la meta, il sostegno, il signore, il testimone, la dimora, il rifugio, l'amico, io sono il principio dell'essere e della dissoluzione, la base, il punto di quiete ed il seme che non può perire.
(19) Io riscaldo; io trattengo e lascio andare la pioggia; io sono l'immortalità ed anche la morte; io sono nello stesso tempo l'essere e il non-essere, o Arjuna.
(20) I conoscitori dei tre Veda, quelli che bevono il Soma e mondi da peccato, a me rendendo sacrifizi, pregano (di conseguire) la via del cielo; essi, giunti al santo mondo del signore degli dei, godono in cielo i piaceri degli dei.
(21) Dopo aver goduto l'ampio mondo del cielo, essendo esaurito il loro merito, tornano nel mondo di coloro che muoiono; così seguendo la dottrina fondata sui tre Veda, desiderosi di godere, essi ottengono ciò che viene e va.
(22) Ma a quegli uomini che hanno Me per oggetto del loro culto e che non si occupano di alcun altro oggetto nel loro meditare, a costoro appunto che son quelli che sono sempre devoti, io porto il sicuro possesso e la sicurezza.
(23) Anche coloro che sono devoti ad altri dei, e, armati di fede, recano loro onore, essi proprio anche me, o figlio di Kuntì, onorano, anche se contro la vera norma.
(24) Io sono in verità colui che gode di tutti i sacrifici ed il loro signore; ma costoro non mi conoscono in realtà e per questo si perdono.
(25) Coloro che prestano fede e culto agli dei vanno presso gli dei, coloro che li prestano ai padri, vanno presso i padri, coloro che sacrificano ai trapassati vanno presso i trapassati e coloro che sacrificano a me vengono presso di me.
La devozione e le sue conseguenze
(26) Anche se uno con devozione mi offre una foglia, un fiore, un frutto o dell'acqua, lo accetto una tale offerta fatta con amore da coloro che hanno l'animo puro.
(27) Qualunque cosa tu faccia, qualunque cosa tu mangi, qualunque cosa tu offra in sacrifizio, qualunque cosa tu dia, quali che siano le penitenze che tu pratichi, o figlio di Kuntì, fa ciò come se si trattasse di restituirmi qualcosa che io ti abbia dato.
(28) Cosí sarai liberato dai vincoli dell'operare che producono buoni e cattivi risultati; con la mente volta allo yoga della rinuncia, tu, libero, potrai raggiungermi.
(29) lo sono identico, in tutti gli esseri: nessuno mi è odioso, nessuno mi è caro; ma coloro che rendono a me culto con devozione, quelli appunto sono in Me e io sono in loro.
(30) Se un uomo, che pur abbia agito sempre in modo spregevole, mi onora cosí da non rivolgersi ad alcun altro oggetto nella sua pietà, questi appunto deve esser tenuto in conto di uomo retto; ché in verità egli è uno che è arrivato a una determinazione, quale si conviene.
(31) Ben presto diventa uno spirito giusto e raggiunge una pace che eternamente dura; o figlio di Kuntì, sappi (che) colui che mi è fedele giammai non perisce .
(32) In verità anche quelli che sono di cattiva nascita, o donne, o vaisyah oppur anche sudrah, se cercano in me un rifugio, o Partha.
(33) (E) che ancora (altro potrebbe esservi di diverso per) i virtuosi Brahmani ed ugualmente per i nobili profeti pieni di devozione? Una volta entrato in questo mondo dell'impermanenza e del dolore, sii devoto a me.
(34) Abbi la mente a me fissa; a me sii devoto; a me sacrificando rendi onore; e dopo esserti imposto la disciplina dello spirito a me verrai, in me avendo l'estremo rifugio.
Tale è il nono capitolo intitolato
"Lo Yoga della Suprema Conoscenza e del Supremo Mistero".
(Rajavidyarajaguhya Yoga)
Capitolo decimo
Dio è la fonte di tutto: conoscere Lui è conoscere tutto
Immanenza e trascendenza di Dio
Il Signore Beato disse:
(1) Di nuovo, o eroe dal forte braccio, ascolta la mia suprema parola; per il desiderio che ho di fare il bene, io la dirò a te che sei amato (o mio guerriero diletto).
(2) La mia origine non conoscono gli eserciti degli dei, né i grandi saggi; perché io sono, in tutti i possibili sensi, l'origine degli dei e dei grandi saggi.
(3) Colui che in me conosce il non-generato, senza-principio, gran signore del mondo, quegli è fra i mortali imperturbato e da tutti i peccati è libero.
(4-5) La capacità di distinguere, la conoscenza, l'andar esenti da smarrimento, la pazienza, il sincero parlare, la padronanza di sé, la calma interiore, il piacere e il dolore, il venir ad essere e il non venir ad essere, il timore e l'intrepidezza, la nonviolenza, l'equilibrio mentale o morale, lo stato di soddisfazione, la penitenza, la generosità, la gloria, l'infamia (sono) diverse condizioni degli esseri (che) da me soltanto procedono.
(6) I sette antichi grandi saggi e i quattro manavah, ugualmente, sono della mia stessa natura e sono nati dal mio spirito e da essi sono nati tutti gli esseri di questo mondo.
(7) Colui che conosce in essenza questa (mia) manifestazione e questo mio potere, quegli è a me unito di unione sicura; su ciò non v'ha dubbio.
(8) lo sono l'origine di tutto; da me il tutto si svolge; cosí riflettendo, mi onorano gli illuminati che possiedono la pura consapevolezza dello spirito.
(9) I loro pensieri sono a me (rivolti), le loro vite sono a me consacrate; reciprocamente portandosi la luce dell'intelletto, e di me parlando in continuazione, essi sono soddisfatti e in me godono.
(10) A costoro, che son sempre devoti e che a me rendono onore amorosamente, io concedo la concentrazione dell'intelletto, con la quale possano venir a Me.
(11) Per compassione verso costoro appunto, io distruggo, rimanendo in quella condizione che mi è propria, le tenebre che sorgono dall'ignoranza, per mezzo della splendente fiaccola del conoscere.
Il Signore è la semenza e la perfezione di tutto ciò che esiste
Arjuna disse:
(12) Tu sei il sommo Brahman, il rifugio sommo, il purificatore supremo, o Signore (bhavan), l'eterna divina persona, il primo fra gli dei, colui che non fu generato, colui che penetra dappertutto.
(13) Te in questo modo decantano tutti i saggi ed ugualmente Narada il divino veggente. Asita e Devala e Vyasa (tale ti dicono) e tu stesso anche me lo dici.
(14) Io penso come pertinente a verità e bontà tutto questo che mi dici, o Kesava; né gli dei né i demoni conoscono la tua manifestazione, o Beato.
(15) In verità, Tu conosci te stesso per mezzo di te stesso o Persona Somma, fonte degli esistenti, Signore delle creature, Dio degli dei, signore del mondo.
(16) Tu mi dovresti dire senza eccezione le tue divine manifestazioni, per via delle quali, (con le quali manifestazioni) diffondendoti in questi mondi, vi prendi stanza.
(17) Come potrei conoscere Te, lo Yogi, costantemente meditando? In quali vari aspetti devi tu esser pensato da me, o Beato?
(18) Analiticamente esponi ancora, o Janardana, la tua potenza e la tua manifestazione; non c'è sazietà in me che odo ciò che è simile al nettare.
Il Signore Beato disse:
(19) Ebbene, ti esporrò, si, le mie divine manifestazioni, ma soltanto a proposito degli argomenti fondamentali, o (tu), ottimo fra i Kuru: ché non v'ha limite alcuno della molteplicità (al numero) dei miei modi particolari.
(20) lo sono, o Gudakesa, il Sé che risiede nell'intimo di tutti gli esseri, io sono il principio, il mezzo, la fine di tutti gli esistenti.
(21) Degli Adityah io sono Visnu, delle luci io sono il raggio radiante; dei marutah sono Marici: fra i corpi celesti io sono la luna.
(22) Dei Veda io sono il Samaveda; degli dei sono Indra; dei sensi sono la materia psichica e degli esseri sono la coscienza.
(23) Dei Rudrah io sono Samkara; degli Yaksah e dei Raksasah (sono) Kubera, dei Vasu io sono Agni e dei picchi montani sono Meru.
(24) Dei preti domestici, o Partha, sappi che io sono il capo, Brhaspati; dei condottieri io sono Skanda; dei laghi sono l'oceano.
(25) Dei grandi saggi io sono Bhrgu; dei suoni articolati io sono la sillaba unica Aum; delle offerte io sono l'offerta della preghiera sussurrata, e delle cose irremovibili io sono Himalaya.
(26) Di tutti gli alberi io sono l'Asvattha e dei divini veggenti sono Narada; fra i Gandharvah sono Citraratha e dei perfetti io sono il saggio Kapila.
(27) Dei cavalli, sappi che io sono Ucchaisravah, nato dal nettare (dall'ambrosia); dei nobili elefanti sappi che io sono Airavata e degli uomini sappi che io sono il re.
(28) Delle armi io sono il fulmine; delle vacche sono la vacca Kamaduh (la vacca dell'abbondanza); come progenitore io sono Kandarpa; dei serpenti sono Vasuki.
(29) Dei nagah io sono Ananta; di coloro che abitano nel mare sono Varuna; degli avi trapassati io sono Aryama e di coloro che mettono ordine io sono Yama.
(30) Dei figli di Diti sono Prahlada, di coloro che computano io sono il Tempo; fra gli animali io (sono) il re degli animali e degli uccelli il figlio di Vinata.
(31) Dei purificatori sono il Vento; dei portatori d'armi (dei guerrieri) io sono Rama; dei pesci sono il coccodrillo, dei corsi d'acqua sono la figlia di Jahnu (il Gange).
(32) Delle creazioni io (sono) il principio e la fine ed anche il punto di mezzo, o Arjuna; delle scienze io sono la scienza del Sé; di coloro che parlano io sono il dialogo.
(33) Delle lettere sono la lettera A; dei composti sono il dvandva; io sono anche il tempo che non può perire; io sono il creatore, il cui volto da tutte le parti si volge.
(34) lo sono la morte, colei che di tutto si fa padrona e sono anche l'origine delle cose destinate ad essere; e degli esseri femminili (io sono) la gloria, il bell'aspetto dignitoso, l'eloquio, la memoria, l'intelligenza, la sopportazione, la pazienza.
(35) Ugualmente, degli inni (sono) il Brhatsaman (il Vasto), dei metri io (sono) gayatri; dei mesi (sono) margasirsa e delle stagioni la produttrice di fiori.
(36-37) Degli ingannatori sono l'inganno stesso, dei gloriosi la gloria; io sono la vittoria, sono lo spirito d'iniziativa; io sono la bontà in coloro che sono buoni; dei Vrsni io sono Vasudeva; dei Pandavah io sono il possessore della ricchezza (ossia lo stesso interlocutore Arjuna - N.T.); dei saggi io sono Vyasa, anche, e dei poeti (io sono) il poeta Usana.
(38) Di coloro che puniscono io sono il bastone; io sono la politica saggia di coloro che vogliono vincere; dei misteri io sono il segreto; io sono la sapienza di coloro che sapienza conoscono.
(39) Ed ancora, quel che è il seme di tutti gli esistenti, quello appunto sono io, o Arjuna; né c'è esistente, qualechessia, che si muova o che non si muova, che possa esistere senza di me .
(40) Non vi è limite alcuno alle mie divine manifestazioni. o distruttor dei nemici. Ciò che è stato da me esposto in modo cosí diretto ed esclusivo è soltanto un estendersi della mia manifestazione.
(41) Tutto ciò che esiste di possente, di bello, di forte, renditi conto che ha origine da una particella della mia possanza gloriosa.
(42) Ma che bisogno potresti avere mai tu, o Arjuna, di una siffatta molteplice conoscenza? Reggendo io tutto questo universo con una sola frazione di me stesso, esso resta ben saldo.
Questo è il decimo capitolo che ha per titolo
"Lo Yoga della Manifestazione".
(Vibhuti Yoga)
Capitolo undicesimo
La trasfigurazione del Signore
Arjuna desidera vedere la forma universale di Dio
Arjuna disse:
(1) Dal discorso concernente il sommo problema, (dal discorso) riguardante il Sé, che tu hai fatto, in funzione del tuo favore per me, ogni confusione è stata dissolta via dal mio spirito.
(2) Il sorgere degli esistenti, il loro sparire, in verità, cosí come la tua grandezza imperitura, (questi argomenti) hai fatto sí che li ascoltassi in modo dettagliato, o (dio) dagli occhi di loto.
(3) Ciò che tu hai detto di Te stesso, o Sommo Signore, proprío cosi è. (Ora) desidero vedere la tua forma divina (il tuo aspetto celeste), o Sommo Spirito.
(4) Se tu pensi, O Signore, che io possa vederlo, allora, o Signore dello Yoga, fa' conoscere a me il tuo Sé imperituro.
La rivelazione del Signore
Il Signore beato disse:
(5) Considera, o Partha, le mie forme, a centinaia, anzi, a migliaia, molteplici, divine, di vario colore, di varia forma.
(6) Guarda gli Adityah, i Vasu, i Rudrah, gli Asvini ed anche i Marutah; guarda, o Bharata, le molte meraviglie, per l'innanzi mai viste.
(7) Qui oggi considera l'intero universo nella concreta unità, nel suo muoversi e nel suo permanere immobile e qualunque altra cosa, o Gudakesa, tu desideri vedere nel (l'unità del) mio corpo.
(8) Ma tu non puoi vedermi con questo occhio che è proprio della tua (umana) condizione; voglio darti l'occhio soprannaturale; considera ora la mia divina potenza.
Samjaya descrive la Forma
Samjaya disse:
(9) Cosi avendo parlato, o re, il Gran Signore dello Yoga Hari, allora manifestò a Partha la suprema divina forma,
(10) (La forma divina) dalle molte bocche e dai molti occhi, dalle molte prodigiose visioni, dai molti divini ornamenti, dalle molte armi divine in alto brandite,
(11) recante ghirlande e vesti divine, con divini profumi ed unguenti, costituita di tutti i portenti, sfolgorante, con il volto da ogni parte diretto.
(12) Se la luce di mille soli si trovasse ad esser sorta tutt'insieme nel cielo potrebbe assomigliarsi allo splendore (di esso) del Supremo Essere.
(13) Allora il Panduide vide tutto il mondo, che è in molte parti distribuito (in vario modo molteplice) in unità (colà) riunito nel corpo del dio degli dei.
Arjuna si rivolge al Signore
(14) Allora lui, il possessore della ricchezza, caduto in preda allo stupore, con i capelli ritti, chinando il capo dinanzi al Dio, con le mani giunte, disse:
Arjuna disse:
(15) Nel tuo corpo, o Dio, io vedo tutti gli dei e cosí anche dei vari esseri le distinte schiere, (e) Brahma Signore che sta seduto sul seggio di loto e tutti i saggi profeti e i divini serpenti Nagah.
(16) lo vedo te, che hai innumerevoli occhi, volti, ventri, braccia, dalla forma che non ha termini da nessuna parte, ma di te non vedo il termine, non vedo la parte di mezzo, non vedo il principio, o Signore del Tutto, o Forma universale.
(17) lo vedo te portator di corona, armato di mazza, armato di disco, massa di luce dappertutto splendente, difficile da distinguere, (la tua luce non permette di intuire le determinazioni che porti con te), che dappertutto rechi lo splendore del fuoco fiammante e del sole, incomparabile;
(18) Tu sei ciò che non può perire, il Supremo che deve essere conosciuto, Tu sei il supremo rifugio di questo intero universo; tu sei il guardiano, che non morrà, della legge eterna; tu sei da me pensato come l'Eterna Originaria Persona.
(19) lo ti vedo come colui che non ha né principio, né medietà né fine, come colui che ha un infinito potere, (armato) di innumerevoli braccia, che ha per occhi la luna ed il sole, che ha per volto il fuoco fiammante, che arde con il suo proprio splendore tutto questo universo.
(20) Questo luogo che è a metà fra cielo e terra è soltanto riempito di te e cosí anche tutte le regioni del cielo. O Grande Spirito (Sé), una volta che abbiano visto questa tua prodigiosa terribile forma, (ne) sono scossi (ne tremano) i tre mondi.
(21) Questi drappelli di dei in verità entrano in Te ed alcuni, in preda al terrore, avendo le mani congiunte (Ti) esaltano; "evviva" dicendo, drappelli di perfetti e di grandi veggenti a Te inneggiano con inni di splendida esaltazione.
(22) I Rudrah, gli Adityah, i Vasavah, i Sadhyah, i Visve, gli Asvini, i Marutah, i Mani (coloro che assorbono soltanto il profumo delle vivande), e i drappelli dei Gandharvah, degli Yaksah, degli Asurah e dei Siddhah, tutti a Te guardano vinti dallo stupore.
(23) Al vedere la tua grande figura dalle molte bocche e dai molti occhi, o Tu dal braccio possente, dalle molte braccia, cosce e piedi, dai molti ventri, dai molti terribili denti, sono scossi i mondi e cosí io anche.
(24) E quando ho visto Te appunto che tocchi il cielo, sfolgorante, dai molti colori, con la bocca spalancata e i grandi occhi splendenti, scosso nell'intimo dell'animo (mio) non trovo piú né saldezza d'animo né pace, o Visnu.
(25) Al veder le tue bocche dai terribili denti, simili al fuoco del tempo (della distruzione universale), le direzioni piú non conosco (perdo il senso della direzione) e non trovo piú un rifugio. Sii benevolo, o Signore degli dei, rifugio dei mondi!
(26) Quelli laggiú, i figli di Dhrtarastra tutti. insieme ai drappelli dei signori della terra e cosí anche Bhisma, Drona e il figlio di Suta (dell'Auriga), cioè Karna insieme con i capiguerrieri che sono con noi, anche con essi,
(27) entrano precipitosi nelle tue terribili bocche, da i denti tremendi. Alcuni tenuti fermi in mezzo ai denti si vedono con le teste già ridotte in polvere (sfracellate).
(28) Come in gran numero acque correnti di fiumi corrono verso l'oceano a faccia in avanti, cosi codesti eroi del mondo degli uomini entrano nelle tue bocche che contro si infiammano.
(29) Come i moscerini si tuffano nel fuoco ardente, con movimento rapido correndo alla loro distruzione, cosí appunto questi uomini si precipitano velocemente nelle tue bocche per la loro propria distruzione.
(30) Tu hai leccato via divorandole da ogni parte tutte le umane stirpi con le tue fauci fiammeggianti. I tuoi terribili raggi bruciano con il loro ardore tutto l'universo riempiendolo di esso, o Visnu.
(31) Dimmi chi sei tu, o Signore, che hai un cosí terribile aspetto. Onore sia a Te, ottimo fra gli dei; manifesta la tua benevolenza: io desidero conoscere in te l'essere originario, perché non conosco il modo del tuo operare.
Dio come giudice
Il Signore Beato disse:
(32) lo sono il tempo, colui che dà luogo alla distruzione del mondo, venuto a maturazione (e) qui impegnato nella distruzione delle stirpi; anche senza di te (senza il tuo intervento) non potranno piú esistere tutti i combattenti che (sono qui) disposti in ostili schiere.
(33) E perciò avanti sorgi tu, e conquista la gloria; godi, dopo aver vinto i nemici di un ricco regno. Da me soltanto essi sono già da gran tempo stati uccisi. Sii tu soltanto lo strumento (di ciò che dev'essere ed è come se fosse già stato) o Savyasacin (capace di servirsi della mano sinistra).
(34) Uccidi Drona e Bhisma e Jayadratha e Karna e ugualmente gli altri grandi guerrieri che sono stati da me uccisi a (in realtà). Non aver paura, combatti, tu vincerai in battaglia i tuoi nemici.
Satkiaya disse:
(35) Avendo udito questo discorso di Kesava (Krsna), Kiritin (Arjuna) con le mani congiunte, e tremante, di nuovo rendendo omaggio, disse a Krsna con voce mozza, pieno di paura inchinandosi:
Il Canto di Lode pronunciato da Ariuna
Arjuna disse:
(36) Ben a ragione, o Hrsikesa, il mondo gode e trova piacere nel glorificarti. I Raksamsi presi dal terrore corrono in tutte le direzioni e le schiere dei perfetti ti adorano.
(37) E perché non dovrebbero rendere omaggio a Te, o Sommo Spirito, a te che sei piú venerando di Brahma, perfino di lui, e che sei creatore originario? O Infinito, Signore degli dei, rifugio del mondo! Tu sei l'Imperituro, l'essere, il non-essere, e ciò che è al di là di questi termini.
(38) Tu sei il primo degli dei, la persona originaria, Tu sei di questo Tutto la suprema dimora. Tu sei il conoscitore e ciò che deve essere conosciuto ed il Fine Supremo, e da te questo Tutto si promana, o Tu dalla forma infinita.
(39) Tu sei Vayu (il Vento), Yama (il dio della distruzione), Agni (il fuoco), Varuna (il dio del mare) e Sasanka (la luna) e Prajapati, il gran signore (di tutte le cose). Salute, salute a Te sia mille volte. Salute e salute a te di nuovo ancora.
(40) Salute a te sulla fronte, salute a te sul retro, salute a te da ogni parte, o Tutto; con la tua forza infinita, con la tua smisurata potenza, tu possiedi nel modo piú completo ogni cosa e sei pertanto ogni cosa.
(41) Tutte le volte che è stato da me detto con temerità, poiché pensavo che tu fossi soltanto un amico, (che è stato detto da me) che ignoravo questa tua grandezza "O Krsna, o Yadava, o compagno", per mia negligenza o anche per amore,
(42) in qualsiasi modo tu sia stato trattato, o in modo scherzoso sconvenientemente, sia durante il giuoco ricreativo sia stando a letto o (seduto) su sedia o durante i pasti, o da solo o invece in presenza di altri, o Incrollabile, di ciò io chiedo perdono a Te, Immenso.
(43) Tu sei il signore del mondo, di ciò che si muove e di ciò che non si muove; tu sei l'oggetto del suo culto e il (suo) maestro venerando. Non c'è alcuno che (Ti) sia uguale; come potrebbe esserci un altro superiore (a Te), sia pur nei tre mondi, o Essere dalla possanza incomparabile?
(44) Perciò inchinandomi e davanti a te prostrando il corpo, io prego per me Te, Signore degno d'invocazione. Tu devi, o Signore, sopportarmi come un padre il figlio, come l'amico l'amico, come l'amante l'amata.
(45) lo sono uno che, gioioso, ha visto ciò che non era mai stato visto per l'innanzi; e l'animo mio è scosso da terrore. Mostrami ancora o Signore soltanto quella tua forma (di prima). Sii benevolo, Signore degli dei, rifugio del mondo.
(46) lo desidero vederti con il diadema, la mazza, il disco in mano proprio ugualmente (come prima); assumi la tua forma dalle quattro braccia, Tu che hai mille braccia e che possiedi tutte le forme.
Il Signore elargisce la sua grazia ad Arjuna e lo rassicura
Il Signore Beato disse:
(47) Per mia grazia e per mezzo del mio potere, ti è stato concesso di vedere la mia forma suprema, o Arjuna, la (forma) tutta-luce, universale, infinita, originaria, quella forma nella quale io non sono stato mai visto da alcuno all'infuori di te.
(48) Non per mezzo dei Veda, né per mezzo dei sacrifici, né attraverso lo studio, né attraverso le offerte, né per mezzo dei riti, né attraverso dure penitenze posso io essere visto in questa forma nel mondo degli uomini da alcun altro che non sia tu, o eroe illustre dei Kuruidi.
(49) Non angosciarti, non sgomentarti, nel vedere questo mio siffatto terrificante aspetto. Libero da paura, contento nel cuore, di nuovo osserva questo mio aspetto (quello universale).
Samjaya disse:
(50) Cosí Vasudeva avendo parlato ad Arjuna, allora (gli) mostrò ancora una volta la sua forma. E lui che era impaurito consolò la Grande Coscienza dopo aver di nuovo assunto il suo aspetto placido.
Arjuna disse:
(51) Vedendo questa tua placida umana forma, o Janardana, ora proprio son rientrato nel possesso della mia ragione e son ritornato alla mia natura.
Il Signore beato disse:
(52) Questo mio aspetto, che, sebbene assai difficile da contemplare, pure, tu hai visto, questo aspetto anche gli dei bramano continuamente di contemplare.
(53) Non io per mezzo dei Veda posso essere visto, non per via di penitenza, non per mezzo di doni, né per mezzo di sacrifici, in questo aspetto in cui tu ora m'hai visto.
(54) Ma con una devozione che non tollera mutamento, io posso, o Arjuna, sotto questo aspetto, essere concretamente conosciuto veduto e compenetrato, o distruttor dei nemici.
(55) Colui che opera in funzione mia, colui che guarda a me come a suo fine, colui che a me rende onore, libero da attaccamento, colui che è libero da inimicizia nei confronti di tutte le creature, quegli me raggiunge, o Panduide.
Questo è il capitolo undicesimo intitolato
"La Visione della Forma cosmica".
(Visvarupadarsana Yoga)
Capitolo dodicesimo
La fede nel Dio personale è superiore alla meditazione sull'Assoluto
Devozione e Contemplazione
Arjuna disse:
(1) Quei devoti che, avendo sempre nell'animo la dedizione, onorano Te e quelli poi che onorano l'Imperituro e l'Immanifestato gli uni o gli altri (quali) di questi hanno piú grande conoscenza dello Yoga?
Il Signore Beato disse:
(2) Coloro che volgendo lo spirito a me, sempre devoti, onorano me, avendo fatto accesso al (regno del) la fede suprema, quelli appunto io considero i piú perfetti nello yoga.
(3) Ma coloro che onorano l'Imperituro, indeterminabile, nonmanifestato, onnipresente ed impensabile, immutabile, immobile, permanente,
(4) controllando tutti i sensi nel loro insieme, essi che hanno in tutte le condizioni un continuo equilibrio spirituale, attingono me appunto, trovando piacere nella felicità di tutti gli esseri.
(5) L'ostacolo (da superare) per coloro che hanno lo spirito dedito al Non-manifesto è più grande (di quello che incontrano coloro che si trovano in condizione diversa), perché il fine che (è rappresentato dal) Non-manifesto è difficile da raggiungere da parte degli esseri incarnati.
I diversi modi di accostarsi a Dio
(6) Ma (di) coloro che in me riponendo tutte le loro azioni, a me devoti, con dedizione incessante su di me meditando, prestano atto di culto,
(7) di costoro, i cui pensieri sono a me rivolti, io sono il liberatore, (sono colui che li libera) immediatamente dall'oceano della connessione delle esistenze, a morte votate, o Partha.
(8) In me solamente riponi l'animo tuo, in me fa che il tuo intelletto dimori; in me soltanto tu dimorerai (allora), su ciò non può esservi dubbio alcuno.
(9) Ché se poi non sei capace di fissare il tuo pensiero su di me stabilmente, cerca allora di attingermi con l'esercizio della concentrazione, o Dhanamjaya.
(10) Se tu sei incapace (di far ciò) anche attraverso l'esercizio (della concentrazione), fa' di te (allora) uno la cui opera sia massimamente a me rivolta; anche col compiere azioni, avendo me come fine, potrai tu ottenere il compimento.
(11) E se tu non sei capace ce di fare nemmeno questo, cercando rifugio nella attività in equilibrio a me rivolta, con il tuo sé sottomesso, rinuncia al frutto di ogni azione.
(12) Migliore è dunque la conoscenza che la pratica della concentrazione; alla conoscenza è superiore la meditazione; alla meditazione è superiore la rinuncia al frutto dell'azione; alla rinuncia segue immediatamente la pace.
Il vero devoto
(13) Colui che non concepisce inimicizia per alcun essere vivente, che nutre sentimenti amichevoli e di compassione, che è libero da egoismo ed egocentrismo, che ha un identico equi librio nel piacere e nel dolore, che è tollerante,
(14) lo Yogi che è sempre. soddisfatto, che ha lo spirito domo, che è fermamente risoluto, che ha la mente e l'intelletto su di me fissi, lui appunto, che è a me devoto, mi è caro.
(15) Colui dal quale il mondo non è agitato e che non si agita a causa del mondo, colui che è libero da gioia e da collera, da paura e da agitazione, quello appunto è a me caro.
(16) Colui che intorno a sé non riguarda come in attesa, che è puro, che è atto all'agire, indifferente, esente da turbamento, che ha rinunciato ad ogni intrapresa, quello appunto, che a me è devoto, mi è caro.
(17) Colui che non gioisce e non odia, non soffre e non spera, che ha rinunciato a ciò che è buono e a ciò che buono non è, lui appunto, il devoto, mi è caro.
(18) Colui che è uguale sempre per il nemico e per l'amico, colui che ugualmente si comporta in vista di onore e d'infamia, che è sempre uguale nel freddo e nel caldo, nel piacere e nel dolore, colui che è libero da attaccamento,
(19) colui che nello stesso modo considera il biasimo e la lode, che mantiene il silenzio, che di qualsiasi cosa è soddisfatto, che non ha dimora fissa , che è saldo nello spirito, un uomo siffatto, che è a me devoto, mi è caro.
(20) Ma coloro che seguono questa immortale dottrina come è stato insegnato, con fede, e avendo me come fine supremo, quei devoti, mi sono cari in modo particolare.
Questo è il dodicesimo capitolo intitolato
"Lo Yoga della devozione".
(Bhakti Yoga)
Capitolo tredicesimo
Intorno al corpo, detto il campo, all'anima, chiamata il conoscitore del campo e alla differenza fra l'uno e l'altra
Il campo e il conoscitore del campo
Arjuna disse:
La prakrti e il purusa, il campo e il conoscitore del campo, la conoscenza e l'oggetto della conoscenza, ciò desidero conoscere, o Kesava.
Il Signore beato disse:
(1) Questo corpo, o figlio di Kuntí, è chiamato il campo, e quelli che sanno chiamano colui che lo conosce il conoscitore del campo.
(2) Conosci me come conoscitore del campo in tutti i campi, o Bharata. La conoscenza del campo e del conoscitore del campo, questo io considero come conoscenza (autentica).
(3) Ascolta da me in breve che cosa sia il campo, quale esso sia, quali ne siano le varie forme e donde sia e quale poi sia lui (il conoscitore del campo) e quale ne sia il potere.
I termini costitutivi del campo
(4) È stato cantato in vario modo dai saggi, in vari inni, separatamente ed anche in espressioni, ben fondate e decisive, degli aforismi sull'Assoluto.
(5) Gli elementi grossolani, il senso di sé, la capacità discriminativa e il non-manifestato, gli undici sensi (i dieci sensi e la mente come realtà psichica), e i cinque oggetti dei sensi,
(6) il desiderio e l'odio, il piacere e il dolore, l'insieme degli organi, l'intelletto, la saldezza di spirito, questo, descritto in breve, è il campo con le sue varie determinazioni.
La conoscenza
(7) Il fatto di non avere una grande opinione di sé, l'essere del tutto liberi da fraudolenza, il non far male a nessuno, la tolleranza, la rettitudine, l'onore reso al maestro, la purezza, la fermezza, il controllo di sé,
(8) l'indifferenza verso gli oggetti sensibili, la negazione di ogni egocentrismo; la percezione del male inerente alla nascita, alla morte, alla vecchiezza, alla malattia, al dolore,
(9) il non-attaccamento, il non nutrire affetti particolari per il figlio, la sposa, la casa e cosí via ed un equilibrio spirituale che mai si smentisce rispetto agli eventi desiderati come a quelli non-desiderati,
(10) una devozione verso di me non soggetta a sviamenti, per mezzo di una disciplina spirituale che ad una cosa sola è intesa, il fatto di dimorare in luoghi separati, il non trovar gusto nella folla,
(11) la perenne continuità della conoscenza del Sé originario, l'intuito concretamente conoscitivo della verità, questo è dichiarato essere conoscenza autentica e tutto ciò che è diverso è non-conoscenza.
(12) Descriverò ciò che deve essere conosciuto e conoscendo il quale si fruisce dell'immortalità. (È) il Sommo Brahma senza principio; esso è detto essere né esistente né non-esistente.
Il conoscitore del campo
(13) Esso, con le mani e i piedi dappertutto, con gli occhi, le teste e i volti da tutte le parti, con orecchie da tutti i lati, nel mondo, tutto avvolgendo, dimora.
(14) Esso è quello che appare come avente tutte le qualità sensibili e di tutti i sensi è tuttavia privo, è senza attaccamento (rispetto a tutte le cose) epperò è quello che sostiene tutte le cose, libero dalle qualità della prakrti, gioisce però delle qualità stesse.
(15) Esso è al di fuori e al di dentro degli esseri. È immobile e tuttavia mobile; a causa della sua finezza non può essere conosciuto; è lontano eppure, esso, è vicino.
(16) È indiviso eppure è come uno che fosse diviso fra gli esseri. Esso dev'esser conosciuto come quello che sostiene le esistenze, che le distrugge (inghiotte) e di nuovo le crea.
(17) Esso è anche la Luce delle luci; è detto essere al di là delle tenebre; (è) la conoscenza, l'oggetto della conoscenza, il fine della conoscenza. Esso ha sua sede nel cuore di ogni essere.
Il frutto della conoscenza
(18) In questo modo si è parlato in breve del campo, ed è ugualmente della conoscenza e dell'oggetto della conoscenza. Colui che è a me devoto e che ha compreso questo, diventa atto alla mia realtà.
Natura e Spirito
(19) Sappi che la prakrti e il purusa sono tutti e due senza principio; e sappi inoltre che le forme derivate e i modi hanno origine dalla prakrti.
(20) La natura è detta compimento dell'effetto (e) mezzo per quanto riguarda l'atto stesso dell'agire, il purusa è detto il mezzo in rapporto alla possibilità di godere gioie e patire dolori.
(21) L'anima che ha sede nella natura fruisce dei modi sorti dalla natura. L'attaccamento ai modi (alle qualità) è causa elle sue nascite in matrici buone o cattive
(22) Il Sé sommo in questo corpo è detto il Testimone, il Consenziente, colui che sopporta, colui che esperisce, il grande Signore, la somma Persona.
(23) Colui che cosí conosce il purusa e la prakrti insieme con i modi, in qualsiasi modo egli agisca, non nasce di nuovo.
Le differenti strade per la salvezza
(24) Con la meditazione alcuni intuiscono il Sé nel sé per mezzo del sé; altri per mezzo dello yoga della conoscenza; altri poi attraverso la via delle opere.
(25) Altri invece, che di ciò nulla sanno, avendone ascoltato e appreso da altri, compiono atto religiosamente valido; ed essi appunto superano la morte, per esser devoti a ciò che hanno udito.
(26) In qualsiasi modo qualsiasi essere abbia nascimento, che sia immobile o che si muova, sappi, o ottimo fra i Bharata, che esso (è nato) dall'unione del campo e del conoscitore del campo.
(27) Colui che vede il Sommo Signore come dimorante ugualmente in tutti gli esseri, tale che non perisce, pur se essi periscono, quegli, realmente, vede.
(28) Infatti, vedendo il Signore ugualmente dappertutto stabilmente presente (solidamente stabilito) non fa torto al Sé (autentico) con il suo sé; e quindi raggiunge il fine supremo.
(29) Colui che vede che le azioni in qualsivoglia forma sono fatte soltanto dalla natura e parimenti vede che il Sé non è esso ad agire, quello veramente vede.
(30) Allorché egli scorge che la molteplice condizione degli esseri si fonda sull'Uno e che da esso (si attua) il suo estendersi, allora egli attinge il Brahman.
(31) Questo supremo Sé imperituro, poiché è senza-principio, poiché è privo di qualità, pur avendo sede in un corpo, o figlio di Kuntì, non agisce e non è macchiato.
(32) Come l'etere che tutto pervade a causa della finezza non è macchiato, cosi appunto il Sé, che è presente in tutto ciò che sia corpo (dappertutto in un corpo) non patisce alcuna macchia.
(33) Come un unico sole illumina (fa divenire visibile) questo mondo intero, cosi il signore del campo rende visibile l'intero campo, o Bharata.
(34) Coloro che cosí intuiscono con l'occhio della conoscenza la distinzione fra il campo e il conoscitore del campo e la liberazione degli esseri naturali (dalla natura stessa), raggiungono il Supremo.
Questo è il tredicesimo capitolo intitolato
"Lo Yoga della distinzione fra il campo e il conoscitore del campo".
(Ksetraksetrajnavibha Yoga)
Capitolo quattordicesimo
Il padre mistico degli esseri
La Conoscenza Suprema
il Signore beato disse:
(1) lo ti esporrò di nuovo la conoscenza che è somma fra le conoscenze, coll'apprender la quale tutti i saggi son potuti passare da questo mondo qui alla perfezione suprema.
(2) Rifugiandosi in questa conoscenza e addivenuti a identità di attributi con me, nemmeno nell'atto in cui le cose sono create essi nascono, né patiscono turbamento alcuno al tempo della dissoluzione (delle cose).
(3) Il grande Brahma è la mia matrice; in lui io getto il mio seme e da esso procede l'origine di tutte le cose, o Bharata.
Bontà (rajas) Passione (sattva) Tenebra (tamas)
(4) Quali che siano gli esseri aventi una forma, che abbiano nascimento in qualsiasi matrice, o figlio di Kuntì, il grande Brahma è la loro matrice, io sono il padre che getta il seme.
(5) I tre guna (o qualità) che hanno origine dalla natura e cioè la bontà, la passione, la tenebra vincolano nel corpo, o eroe dal forte braccio, l'eterno che nel corpo dimora.
(6) Tra di essi, il sattva, a causa della sua purezza, è ciò che dà la luce della conoscenza, è ciò che dà la salute. (Esso) vincola, o eroe senza-macchia, per mezzo dell'attaccamento alla felicità e dell'attaccamento alla conoscenza.
(7) Il rajas sappi che è della natura dell'attrazione e che sorge dalla brama e nell'attaccamento; (esso) lega in modo solido, o figlio di Kuntì, colui che si è incarnato in un corpo, per mezzo dell'attaccamento all'operare.
(8) Sappi però che la tenebra (tamas) è nata dall'ignoranza e che ha la capacità d'illudere tutti gli esseri-in-un-corpo; essa vincola fortemente, o Bharata, per mezzo della negligenza, dell'indolenza, del sonno.
(9) Il sattva tiene vincolati alla felicità, il rajas all'agire, o Bharata, ma la tenebra, col suo avviluppare la conoscenza, tiene vincolati alla negligenza.
(10) Prevalendo sul rajas e sul tamas, o Bharata, il sattva sorge; (ugualmente) la passione ha luogo, (quando abbia superato) bontà e tenebra; ed ancora la tenebra si realizza, (quando abbia avuto la meglio su) bontà e passione.
(11) Allorché per tutte le porte nel nostro corpo ha nascimento, nel suo splendore, la conoscenza, allora appunto si può aver per manifesto che il principio della bontà ha acquistato vigore.
(12) L'avidità, il darsi da fare, l'intraprendere attività, l'irrequietezza il piacere che si prova nel fare, queste cose sorgono, o migliore fra i Bharatidi, quando è aumentato il rajas.
(13) La mancanza di luce spirituale, l'inattività, la negligenza, il puro smarrimento psichico, tutte queste cose sorgono, o delizia dei Kuruidi, quando è aumentata la tenebra.
(14) Allorché invece l'anima incarnata incorre nella dissoluzione, avendo acquistato vigore il sattva, allora mette le orme in mezzo a coloro, i puri, che conoscono il Supremo.
(15) Allorché incorre poi nella dissoluzione, quando prevale il rajas, è generato allora fra coloro che sono attaccati all'operare; e se poi incontra la morte, quando prevale la tenebra, è generato nelle matrice di coloro che hanno gli spiriti confusi.
(16) Il frutto dell'azione buona dicono essere non-impuro e della natura della bontà; invece il frutto della passione è il dolore, il frutto della tenebra mentale e psichica è l'ignoranza.
(17) Dalla bontà sorge la conoscenza, dalla passione il desiderio, la negligenza e la confusione sorgono dalla tenebra e cosí anche l'ignoranza.
(18) In alto si levano quelli che nella bontà hanno loro stabile sede; nelle regioni di mezzo hanno sede i dominati dalla passione; quelli che partecipano del principio della confusione hanno sede nelle regioni infime, appartenendo alla qualità inferiore.
(19) Allorché colui che vede non scorge fattore attivo diverso dai modi e conosce anche ciò che è al di là dei modi, egli appunto attinge il mio essere.
(20) Allorché l'anima incarnata si eleva al di sopra di questi tre guna che sorgono dal corpo, essendo libera da nascita morte vecchiaia dolore, attinge l'eternità.
Le note essenziali di colui che è al di sopra dei tre guna
Arjuna disse:
(21) Per mezzo di quali note è (determinato) colui che si è levato al di sopra dei tre guna, o Signore? Quale (è) la sua condotta? E come riesce egli a superare i tre guna?
Il Signore Beato disse:
(22) (Colui che) o Pandava, non ha in odio l'illuminazione, l'attività e lo smarrimento mentale, quando si sono prodotti, e non li desidera quando sono venuti meno;
(23) Colui che stando seduto come uno che non è toccato (da ciò che avviene), non è affettato dai modi, e che non si muove
(24) Colui che ugualmente considera dolore e piacere, che è saldamente fondato nel suo stesso sé, che nello stesso modo considera una zolla di terra, una pietra, un pezzo d'oro, che ugualmente considera ciò che piace e ciò che non piace, colui che è fermo nel suo spirito, che considera uguale e biasimo ed elogio (che gli siano tribuiti);
(25) Colui che è lo stesso nell'onore e nel disonore, che è lo stesso verso gli amici e verso quelli che sono (del partito dei) nemici, colui che rinuncia a tutte le imprese, quegli (appunto) è detto colui che ha superato le tre qualità (guna).
(26) Colui che mi onora con costante amorosa devozione ed amore, quegli appunto superando codesti tre guna, è atto a (attingere) l'essenza di Brahma.
(27) Infatti io sono il fondamento del Brahman immortale e imperituro e dell'eterna legge e della beatitudine assoluta.
Questo è il quattordicesimo capitolo intitolato
"Lo Yoga della differenziazione dei tre guna".
(Gunatrayavibhaga Yoga)
Capitolo quindicesimo
L'albero della Vita
L'albero cosmico
Il Signore Beato disse:
(1) Parlano dell'imperituro asvattham (albero baniano) come di quello che ha verso il basso i rami e verso l'alto le radici; del quale le piume (le foglie) sono i testi vedici: e colui che lo conosce è (pertanto) un conoscitore del Veda.
(2) In basso e in alto sono estesi i suoi rami, alimentati dai modi (dell'esistenza), aventi come germogli gli oggetti materiali, e in basso, nel mondo degli uomini, si sono prolungate le sue radici, (che sono) legate alle azioni.
(3) La sua forma (effettiva) non è qui, cosi, percepita, né la sua fine, né il suo principio, né il suo fondamento. Dopo aver troncato l'asvattha dalla radice ben cresciuta, con la solida arma del non-attaccamento,
(4) allora, si dovrà cercar quella strada, dalla quale piú non tornano indietro quelli che vi sono arrivati, (pensando) "io cerco rifugio in Lui soltanto, nella Persona originaria, donde si è sviluppato l'antico processo del mondo".
(5) Coloro che sono esenti da orgoglio e da smarrimento spirituale, che hanno vinto la colpa, che consiste nell'attaccamento, che sono sempre assorti nel Sé originario, che hanno rinunciato ai desideri, che son liberati dalle dualità rappresentate dalla coscienza del piacere e del dolore, tornano, senza smarrirsi, a quella condizione che non avrà mai termine.
La vita della manifestazione è soltanto una parte della vita
(6) Il sole non Lo illumina, e cosí nemmeno la luna ed il fuoco; esso è il mio supremo rifugio, dal quale quelli che vi giungono piú non ritornano.
Il Signore come vita dell'Universo
(7) Un frammento della mia realtà, nel mondo della vita, divenuta che sia un'anima individuale, eterna, (a sé) trae i sensi, fra i quali è la psiche come sesto organo, (sensi) che si fondano sulla natura.
(8) Quando il Signore si assume un corpo e quando l'abbandona, (egli) prende questi (i sei organi di senso) e va, cosí come il vento (porta via) i profumi dal luogo (ove stanno).
(9) Entra in rapporto con gli oggetti dei sensi, impiegando l'orecchio, l'occhio, il tatto, il gusto, l'odorato, cosí come anche le facoltà della mente.
(10) Coloro che hanno l'animo smarrito non vedono Lui che se ne va, che resta, che fruisce dei guna, venendo in contatto con essi; ma lo vedono coloro che hanno l'occhio della conoscenza.
(11) Anche gli yoginah che lottano lo percepiscono come avente sede nel sé, ma quelli che non intendono, i cui spiriti non te hanno raggiunto l'equilibrio (non sono formati), per quanto lottino, non riescono a vederlo.
(12) Quello splendore che proviene dal sole (e) che illumina tutto questo mondo, quello che è nella luna, quello che è nel fuoco, quello splendore, conoscilo come mio.
(13) Col fare il mio ingresso nel seno della terra, sostengo gli esseri con la mia energia (vigorosamente), e, diventando il soma, come nettare gustoso, io nutro tutte le piante benefiche.
(14) Io, diventando il fuoco universale (della vita) e (come tale) entrando nel corpo delle creature viventi, insieme mesco
(15) E io sono installato nel cuore di ognuno; da me nascono la memoria e la conoscenza e cosí anche la negazione loro. Io son colui ancora, che si deve conoscere per mezzo di tutti i Veda; io sono anche colui che ha fatto il Vedanta e anche colui che conosce i Veda .
La Somma Persona
(16) Queste due persone son (quelle che sono) nel mondo, quella peritura e l'imperitura, quella peritura (si identifica con) tutti questi esistenti, ed imperituro si chiama l'immutabile (quello che sta in alto nel mezzo).
(17) Diversa però da questi (è) la Coscienza Altissima, che ha il nome di Sé supremo, il quale entrato nei tre mondi come Signore imperituro, li sostiene.
(18) Allorché ho superato il perituro e sono sommo perfino nei riguardi (superiore a) dell'imperituro, allora io sono celebrato come la Suprema Persona nel mondo e nel Veda.
(19) Colui che, senza smarrirsi, conosce me, la Suprema Persona, quegli è il conoscitore del tutto ed onora me con tutto il suo essere, o Bharata.
(20) Cosí questa dottrina segretissima è stata da me rivelata, o (eroe) senza macchia. Conoscendola (un uomo) potrà diventare saggio e (diventare) uno che ha compiuto il suo dovere, o Bharata.
Questo è il quindicesimo capitolo dal titolo
"Lo Yoga della Somma Persona".
(Purusottama Yoga)
Capitolo sedicesimo
La natura del divino e lo spirito demoniaco
I caratteri della natura divina
Il Signore Beato disse:
(1) L'assenza di paura, la purezza dell'essenza (dello spirito), il fatto di essere ben stabilito nella conoscenza e nella concentrazione, la generosità, il controllo e il sacrificio, lo studio, la penitenza, la rettitudine,
(2) la non-violenza, la verità, l'andar esenti da ira, la rinuncia, la serenità, il non usare calunnia, la compassione per esseri viventi, l'assenza di bramosia, la dolcezza, il ritegno, la ponderatezza,
(3) il vigore, l'indulgenza, la forza d'animo, la purezza, l'esser liberi da sentimenti ostili (per chiunque), il non sentire troppo altamente di sé sono di colui che è nato per la divina perfezione, o Bharata.
Il demoniaco
(4) L'ipocrisia, l'arroganza, il sentir di sé troppo altamente, l'essere collerico ed anche la rudezza ed ignoranza (sono), o Partha, di colui che è nato per la condizione demoniaca.
Le conseguenze dell'una e dell'altra condizione
(5) La divina perfezione si ritiene che sia per la liberazione e la natura demoniaca in funzione del vincolo (della schiavitù spirituale). Non ti addolorare, o Pandava, tu sei nato per la divina perfezione.
(6) (Ci sono) due generi di esseri creati nel mondo: il divino e il demoniaco; il divino è stato descritto per esteso; ascolta da me, o Partha, (l'esposizione) del demoniaco.
(7) Gli uomini demoniaci non conoscono né la via dell'agire né la via delle rinuncia all'agire; in essi non si trova purezza, né buona condotta, né verità.
(8) Dicono che il mondo sia senza realtà, senza fondamento, senza un Signore, non venuto all'essere secondo una regolare connessione causale, in breve, causato dal desiderio.
(9) Tenendo fermo a questo modo di vedere, gli uomini di corto intelletto, che nuocciono a se stessi, si levano, uomini dagli atti violenti, quali nemici del mondo, per la sua distruzione.
(10) Abbandonandosi a un desiderio che non può essere saziato, pieni di fraudolenza, albagìa, orgoglio, per via d'illusione in sé trattenendo cattive inclinazioni, agiscono avendo una condotta non pura.
(11) Dediti ad un impegno affannoso o senza misura, che ha fine soltanto con la morte, essi che credono che la necessità primaria per l'uomo consista nel soddisfacimento dei desideri e sono convinti che di questo mondo sia l'unica realtà,
(12) legati dai cento e cento vincoli del desiderio, dediti al piacere ed all'ira, cercano di ottenere delle fortune, seguendo un modo di procedere irregolare (ingiusto), pur di soddisfare i loro desideri;
(13) "Oggi son riuscito ad ottenere questo, quest'altro desiderio riuscirò a soddisfare; questa cosa mi appartiene e anche l'altro bene a sua volta sarà mio";
(14) "Questo nemico è stato ucciso da me ed altri anche io ucciderò; io sono il Signore, sono colui che gode, sono fortunato, potente, felice";
(15) "Io sono ricco, sono di nobile stirpe: chi altro c'è che sia simile a me? Io farò sacrifici, farò doni e godrò": cosí (dicono essi) illusi dall'ignoranza.
(16) Agitati dai piú diversi pensieri, avviluppati nella rete dell'illusione, impegnati nella soddisfazione dei loro desideri, cadono in un cupo inferno.
(17) Infatuati di se stessi, pretensiozi, presi dalla superbia e dall'orgoglio della ricchezza, compiono dei sacrifici che sacrifici sono soltanto di nome, in modo del tutto ostentato e senza tener conto delle regole.
(18) Abbandonandosi all'egocentrismo, alla bruta prepotenza, all'orgoglio, e cosi anche alla lussuria ed all'ira, (questi) uomini a tutti nemici son tali da detestare Me (che pur albergo) nei loro stessi corpi e in quelli degli altri.
(19) Questi (uomini) che non fanno che odiare, (questi uomini) crudeli, i piú vili degli uomini, nel succedersi delle nascite e delle morti, io ininterrottamente scaravento, essi, i malvagi, in demoniache matrici.
(20) Caduti in matrice demoniaca questi uomini dalla mente confusa, di nascita in nascita, senza raggiungermi, o figlio di Kuntì, vanno piuttosto, di conseguenza, all'infima delle condizioni.
Le tre porte dell'inferno
(21) Questa porta che mena all'inferno, essa, la distruggitrice del sé particolare ha un triplice accesso (è triplice): (consiste in) passione, ira, avidità. Pertanto, occorre metter da parte queste tre cose.
(22) L'uomo che si è liberato di queste tre porte che menano al regno delle tenebre, o figlio di Kuntì, fa ciò che è meglio per il suo sé, e quindi raggiunge lo stato supremo.
(23) Colui che sdegnando le norme della Scrittura, agisce a seconda delle proprie passioni, non raggiunge né la perfezione né la felicità né lo stato supremo.
(24) Perciò la Scrittura sia la tua norma nella determinazione di ciò che è da fare e di ciò che non si deve fare; conoscendo ciò che è detto nelle norme contenute nella Scrittura, devi compiere in questo mondo l'opera tua.
Questo è il sedicesimo capitolo intitolato
"Lo Yoga della distinzione fra le nature divine e le demoniache".
(Daivasurasampadvibhaga Yoga)
Capitolo diciassettesimo
I tre guna applicati ai fenomeni religiosi
Le tre specie di fede
Arjuna disse:
(1) Di coloro che, dando importanza minore ai precetti scritturali, (pur) pieni di fede, fanno offerta di sacrifici, qual è la situazione o Krsna? Sono essi partecipi del principio della bontà o di quello della passione, o di quello della tenebra?
Il Signore Beato disse:
(2) La fede di coloro che si sono incarnati in un corpo è di tre specie, ognuna di esse avendo origine dalla natura di ciascuno: ossia buona, passionale, tenebresa. Ascolta (dunque il mio discorso su) queste (specie).
(3) La fede di ciascuno è conforme alla sua natura, o Bharata; della natura della sua fede, tale è l'uomo; quale la sua fede in realtà è, tale appunto egli è.
(4) Gli uomini buoni onorano gli dei, quelli dominati dalle passioni onorano i semidei e i demoni e quelli che hanno lo spirito ottenebrato onorano gli spiriti dei morti, ai quali non sono stati ancora resi gli onori funebri, e le tribú degli spiriti.
(5) Quegli uomini che si sottopongono ad una terribile penitenza, non stabilita dalla scrittura, (in quanto) vogliono secondare ipocrisia ed egoismo e sono posseduti dalla violenza della cupidigia e della passione,
(6) essendo privi di senno, compiono un'azione riduttiva sull'insieme di elementi che ha sede nel corpo ed anche su di me in quanto dimoro in un corpo. Sappi che questi sono demoniaci nella loro determinazione.
Le tre specie di cibo
(7) Anche il cibo che è caro a ciascuno è di tre specie; e cosi anche i sacrifici, le penitenze, i doni; ascolta dunque codesta distinzione-classificazione.
(8) I cibi che accrescono la lunghezza della vita, la forza vitale, la forza fisica, la buona salute, la felicità e la piacevolezza (dell'esistere), saporiti, teneri, nutrienti, gradevoli sono cari a quelli che partecipano del sattva.
(9) I cibi amari, acidi, salati, assai caldi, piccanti, aspri, che bruciano, che fanno male, che dànno luogo a pene e ad indigestione, sono preferiti da coloro che son dominati dalle passioni (rajas).
(10) Ciò che è corrotto (che ha fatto il suo tempo), che è privo di sapore, che è putrido, che ha passato il tempo in cui era accettabile, che è stato rifiutato ed è sozzo, questo è il cibo che è caro a chi è nel tamas.
Le tre specie di sacrificio
(11) Quel sacrificio che è offerto, in accordo con le norme scritturali, da coloro che non bramano il frutto e che volgono il loro spirito al fatto che 'è doveroso offrire il sacrificio, quel sacrificio partecipa della bontà.
(12) Ma ciò che è offerto, con la mira al frutto od anche per ostentazione, o ottimo fra i Bharata, sappi che quel sacrificio partecipa del rajas (della passione).
(13) Il sacrificio che è al di fuori della norma, nel quale non è offerto cibo, privo di inni, non accompagnato da doni, ove non è presente la fede, si dice che sia partecipe della tenebra.
Le tre specie di penitenza
(14) Il culto reso agli dei, ai nati due volte, ai maestri, ai saggi, la purezza, la rettitudine, la continenza e l'astensione dal nuocere, (questo) si chiama la penitenza o ascesi del corpo.
(15) Il pronunciar parole che non arrecano turbamento, che rispondono a verità, che sono gradevoli e salutari e l'esercizio di recitazione dei Veda (ciò) è detto (essere) ascesi relativa al discorso.
(16) Calma nella propria psiche, gradevole gentilezza, silenziosa riservatezza, controllo di sé, purezza di spirito, questo ha il nome di ascesi dell'anima.
(17) Questa triplice ascesi, praticata con la fede piú alta da uomini dall'animo fermo e che non abbiano la brama del frutto, è chiamata partecipe del principio della bontà.
(18) Quell'ascesi che è praticata al fine di ottenere gli onori che si rendono alle persone di riguardo e in genere onore e rispetto e per far bella mostra è, nel nostro mondo qui, chiamata partecipe del principio della passione: è sempre mutevole e incostante.
(19) Quella specie di ascesi che è praticata con una infatuazione che deriva da errato concetto, con proprio danno o al fine di distruggere altri, è detta partecipe del tenebroso.
Le tre specie di doni
(20) Quel dono che è fatto a uno che non dà il concambio, (pensando) che questo è un dono che dev'essere fatto, nel luogo giusto e al tempo giusto e a persona degna, quel dono si giudica esser partecipe di bontà.
(21) Ma quel dono che è fatto in funzione di una ricompensa, o con l'animo volto al frutto, come guadagno di ritorno, o controvoglia, è detto essere della natura della passione.
(22) E quel dono che è fatto a tempo e in luogo inopportuni a persone indegne, in modo scortese (o) con disprezzo, è detto essere della natura delle tenebre.
L'espressione mistica: Aum Tat Sat
(23) Il triplice segno di Brahman è considerato essere "aum tat sat". Con esso furono stabiliti in antico i Brahmani, i Veda ed i sacrifici.
(24) Perciò pronunciando (la sillaba) aum, gli atti di sacrificio, dono, penitenza, come prescritti dalle norme scritturali per i fedeli interpreti del Brahman, si praticano sempre per opera loro.
(25) (Pronunciando la sillaba) tat, senza aver la mira al frutto, sono compiuti da coloro che cercano la liberazione i diversi atti del sacrificio e dell'ascesi e i diversi atti del dare.
(26) La sillaba sat è usata col significato di "realtà effettiva" e col significato di "realtà santa"; ed ugualmente, o Partha, la parola sat è usata nel senso di "azione buona".
(27) La fermezza nel sacrificio, nell'ascesí, nel dono è chiamata anche sat ed ugualmente è chiamata sat ogni azione che abbia fini siffatti.
(28) Qualsiasi offerta sia fatta, qualunque dono sia fatto, qualunque atto d'ascesi sia compiuto senza fede ha il nome di asat, o Partha: nulla dopo la morte, nulla in questa vita.
Questo è il diciassettesimo capitolo dal titolo
"Lo Yoga della triplice divisione della fede".
(Sraddhatrayavibhaga Yoga)
Capitolo diciottesimo
Conclusione
Si deve praticare la rinuncia non nel senso della rinuncia all'operare bensì nel senso della rinuncia al frutto delle opere
Arjuna disse:
(1) O eroe dal forte braccio, desidero conoscere il vero concetto della rinuncia e dell'abbandono, o Hrsikesa, nei vari modi, o Kesinisudana.
Il Signore Beato disse:
(2) I sapienti sanno che la rinuncia consiste nell'astensione dalle opere, compiute con fine d'interesse; coloro che vedono chiaramente (i dotti) affermano che l'abbandono consiste nel lasciare i frutti di tutte le opere.
(3) Bisogna astenersi dall'operare, come da un male: cosi alcuni uomini saggi opinano; ed altri (affermano) che gli atti di sacrificio, di dono, d'ascesi non devono essere dismessi.
(4) Ascolta ora da me, ottimo fra i Bharata, la nozione certa dell'abbandono: l'abbandono, o sommo tra gli uomini, è stato spiegato come triplice.
(5) Gli atti che consistono nel sacrifizio nel dono nell'ascesi non devono essere abbandonati (o dismessi), ma devono invece essere compiuti. Perché il sacrificio, il dono, l'ascesi (realizzano) la purificazione dei saggi.
(6) Ma anche queste opere devono essere compiute, abbandonando l'attaccamento e il desiderio del frutto. Tale o Partha, è il mio modo di pensare deciso ed ultimo (o sommo).
(7) Ma il rifuggire da un atto prescritto non è cosa che possa approvarsi; l'astenersi da una cosa del genere, per via di illusione, si dichiara essere della natura del tamas, del tenebroso.
(8) Chi tralasci un'azione (considerando che è) dolorosa, per paura della sofferenza fisica, quegli, compiendo una rinuncia di tipo passionale, non potrà ottenere il frutto della rinuncia.
(9) Ma colui che compia il dovere prescritto (considerando) che "è una cosa che bisogna fare", o Arjuna, mettendo da parte ogni attaccamento e cosi anche la prospettiva del frutto, (realizza) una rinuncia (che) è giudicata partecipe del principio della bontà.
(10) L'uomo saggio che compie la rinuncia, che è compenetrato dal sattva o principio della bontà, i cui dubbi sono dispersi, non odia nessuna azione penosa e non ha attaccamento per il facile operare.
(11) Davvero non è possibile, per chi è fornito di un corpo , rinunciare in tutto e per tutto all'operare. Ma colui che rinuncia al frutto dell'opera, (quegli) è chiamato colui che pratica autenticamente il distacco.
(12) Sgradevole, gradevole, misto: triplice è il frutto dell'operare, per coloro che non hanno compiuto la rinuncia, una volta che siano morti: non ce n'è di alcun genere per coloro che hanno compiuto la rinuncia.
L'operare è una funzione naturale
(13) O (eroe) dal forte braccio, apprendi da me questi cinque principii, per il compimento di tutte le azioni, (come) sono enunciati nella dottrina samkhya.
(14) La base dell'agire ed ugualmente l'agente, lo strumento nelle sue varie specie, i vari tipi di attività separatamente presi e poi l'elemento piú che umano (superiore all'umano) che è il quinto.
(15) Qualsiasi azione l'uomo intraprenda con il corpo, la parola, la mente, (azione) che sia secondo la regola o che vada in senso opposto, cinque sono i suoi fattori.
(16) Cosi stando le cose allora, l'uomo dallo spirito distorto che ritenga se stesso l'agente assoluto, per il fatto che non maturo è il suo spirito, quegli, (in realtà) non vede.
(17) Colui che è libero da ogni (illusorio) sentimento egocentrico, che non ha la facoltà distinguente turbata, anche se uccide in questo mondo, non uccide (in realtà) e non soffre vincolo (per le sue azioni).
La conoscenza e l'azione
(18) La conoscenza, l'oggetto della conoscenza, il soggetto conoscente costituiscono il triplice incitamento all'agire; lo strumento, l'azione e l'agente sono i tre elementi che entrano a costituire ogni azione.
(19) La conoscenza, l'azione e l'agente, secondo la scienza dei guna (delle qualità), si dice che siano di tre specie soltanto, secondo la distinzione dei guna. Ascolta anche di questi, come è buona regola.
Le tre specie della conoscenza
(20) Quella conoscenza per la quale è visto in tutti gli esseri l'unico essere imperituro, indiviso nelle (esistenze) divise, sappi che partecipa della bontà.
(21) Quella conoscenza che conosce vari esseri di diverse sorti in tutti gli esistenti, a causa del loro essere separati, sappi che quella conoscenza partecipa della passione.
(22) Ma quella (conoscenza) che resta appresa ad un singolo effetto, come se fosse il tutto, senza considerare la causa, per il fatto di non tener a ciò che è reale, (quella conoscenza) che è di valore limitato si dichiara essere partecipe del tenebroso.
Le tre specie dell'operare
(23) Quell'azione che appartiene al novero delle prescritte, che è compiuta senza attaccamento, senza amore od ostilità da colui che non cerca di ottenere il frutto, quella è detta partecipe della bontà.
(24) Ma quell'azione che è compiuta, mentre implica sforzo o pena, da uno che vuole la soddisfazione dei suoi desideri oppur anche da uno che sia pieno di sentimento di sé, si dice partecipe della passione.
(25) L'atto che si fonda sullo smarrimento mentale, senza tener conto del rapporto seriale immediato degli eventi, di rovina o di torto (possibile altrui arrecato) e senza considerare le umane possibilità, è detto partecipe della tenebra.
Tre specie di agente
(26) Colui che agisce (essendo) libero da attaccamento, che non parla come (fa) l'egoista, che è pienamente dotato di costanza ed energia, che non è scosso da successo o insuccesso, è detto partecipe della bontà.
(27) Colui che agisce in preda a (varie) brame, che avidamente cerca il frutto dell'azione, (che è in sé) avido, con l'animo di chi vuol fare del male, impuro, con l'animo pieno di gioia o di tristezza, è detto partecipe di qualità passionale.
(28) Colui che agisce senza aver conseguito l'equilibrio, che è volgare, ostinato, falso, sornione, ignavo, depresso e tergiversante si dice partecipe della tenebra.
Le tre specie d'intelletto (facoltà discriminativa)
(29) Ascolta (dunque ora) la triplice distinzione dell'intelletto (come capacità discriminativa) e della ferma costanza spirituale, secondo le qualità, o possessore della ricchezza, enunciata interamente e distintamente.
(30) O figlio di Partha, l'intelletto che conosce il muoversi in avanti (l'agire) e lo starsene immobili, ciò che si deve e ciò che non si deve fare, ciò che si deve e ciò che non si deve temere, ciò che lega e ciò che libera, (quello), è partecipe della bontà.
(31) Ma l'intelletto con il quale (si) conosce in modo improprio il giusto e l'ingiusto, ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare, quello, o figlio di Partha, è in sé passionale.
(32) E l'intelletto che, avviluppato dalle tenebre, pensa che l'ingiusto sia giusto e (concepisce) tutte le determinazioni concrete all'inverso, o Partha, (quello) partecipa della tenebra.
Le tre specie di salda fermezza
(33) La salda fermezza con la quale (uno) regola le attività della mente, del flusso vitale, dei sensi, per mezzo della concentrazione, quella salda fermezza che mai non si svia, o Partha, è partecipe della bontà.
(34) La salda fermezza per mezzo della quale uno che sia desideroso del frutto, in stretta dipendenza da ciò, volge la propria attenzione al dovere, al piacere, alla ricchezza, quella fermezza, o Partha, è del tipo della passione.
(35) La salda fermezza per via della quale lo stolto non lascia (di abbandonarsi al) sonno, alla paura, all'ansia, alla tristezza, all'ebbra eccitazione orgogliosa, o Partha, è (quella) partecipe del principio della tenebra.
Le tre specie di felicità
(36) Ora poi ascolta da me, o ottimo fra i Bharata, le tre specie di felicità (quali siano). Quella per cui (l'uomo) in seguito ad esercizio prende diletto e giunge al termine del suo soffrire,
(37) Quella felicità che al principio è come un veleno ed alla fine rassomiglia al nettare, che nasce dalla chiarezza dell'intendimento del Sé, è detta essere partecipe del principio della bontà.
(38) Quella felicità che nasce dal contatto dei sensi e degli oggetti di senso e che è come nettare al principio, come veleno alla fine, una tale felicità è menzionata come del tipo passionale.
(39) Quella condizione di piacere che al principio e in ciò che ad esso consegue, (rappresenta un) turbamento dell'anima e che è sorta dal sonno profondo, dalla pigrizia, dalla negligenza quella appunto è detta essere partecipe del tenebroso.
I vari doveri determinati dalla natura particolare (svabhava) e dalla condizione sociale particolare (svadharma)
(40) Non c'è (essere) esistente particolare sulla terra o anche fra gli dei in cielo, che sia libero da codesti tre guna che traggono origine dalla natura.
(41) Gli atti dei Brahmani, degli ksatriyah, dei vaisyah e degli sudrah, o distruttor dei nemici, sono distinti a seconda delle qualità che hanno origine nella natura particolare di essi.
(42) La serenità, il controllo di sé, la vita ascetica, la purezza, la tolleranza e la rettitudine sincera, la sapienza, la conoscenza e la pietas, (tale è) l'agire proprio del Brahmano e che trae origine dalla sua stessa natura.
(43) L'eroismo, il vigore, la fermezza, la destrezza, il non fuggire nemmeno nel pieno della mischia, la generosità, avere l'orgoglio del comando, (questo è) l'agire dello ksatriya, (agire) che nasce dalla sua natura stessa.
(44) L'agricoltura, l'aver cura del bestiame, la mercatura (costituiscono) l'agire di un vaisya, (agire) che nasce dalla sua natura stessa; l'operare che ha il carattere del servire è proprio dello sudra e nasce dalla sua stessa natura.
(45) Ciascun uomo, che trova piacere nel proprio lavoro, raggiunge la perfezione Come ciascuno che con impegno compia il proprio lavoro raggiunga la perfezione, questo (appunto) ascolta.
(46) Colui dal quale (si muove) lo sviluppo degli esseri e dal quale tutto questo mondo promana, quello appunto, per mezzo della sua propria opera, l'uomo onorando, raggiunge la perfezione.
(47) Migliore è la legge propria, (per quanto) sprovvista di qualità (che la rendono perfetta), che non l'altrui legge ben praticata. Colui che compie opera ordinata dalla propria natura non commette colpa.
(48) Nessuno deve abbandonare l'opera che gli è connaturata, o figlio di Kuntì, per quanto piena di difetti possa essere, perché in verità tutte le intraprese sono annebbiate da difetti, come il fuoco dal fumo.
Il karmayoga e la perfezione assoluta
(49) Colui il cui intelletto non ha in modo alcuno attaccamento, colui che ha vinto il suo sé (e) che si è liberato dei suoi desideri, attraverso la rinuncia, perviene allo stato di perfezione che è al disopra dell'operare.
La perfezione di Brahman
(50) Colui che ha raggiunto la perfezione, (allora) attinge il Brahman, che è il massimo compimento della conoscenza: (questo) da me ascolta in breve, o figlio di Kunti.
(51) (Essendo) fornito di un puro intelletto, con fermezza controllando se stesso, rinunciando al suono ed agli altri oggetti di senso e respingendo via da sé attrazione e avversione,
(52) menando vita solitaria, mangiando assai poco, padrone della parola, del corpo, della psiche, dandosi sempre alla meditazione ed alla concentrazione e trovando rifugio nell'indifferenza,
(53) tenendo lontano l'egocentrismo, la forza bruta, l'arroganza, il desiderio, l'ira, il possesso, rinunciando all'io e dopo essersi raccolto in pace, è atto a divenire una realtà sola col Brahman.
La devozione suprema
(54) (Essendo) divenuto una cosa sola col Brahman, avendo lo spirito sereno, non ha pene (e) non ha desideri. Uguale verso tutti gli esseri, in me attinge la devozione suprema.
(55) Per mezzo della devozione giunge a conoscermi, come sono e quale io sono in realtà; perciò, avendo conosciuto me in verità, in me immediatamente fa ingresso.
Applicazione di quest'insegnamento al caso di Arjuna
(56) Continuamente compiendo tutte le azioni, purchè in me cercando rifugio, per mia grazia raggiunge l'eterna imperitura dimora.
(57) Risolvendo nel tuo spirito in me le tue opere, a me devoto, ricorrendo alla fermezza dell'equilibrio spirituale, abbi il pensiero costantemente in me fisso.
(58) In me tenendo fiso il pensiero, per mezzo della mia grazia, supererai tutte le difficoltà: ma se poi tu, per dar valore al tuo ego, non mi ascolterai, perirai.
(59) Se, ad alto sentimento del tuo sé abbandonandoti, pensi "non combatterò", questa tua risoluzione (è formulata) invano: sarà la natura stessa a costringerti.
(60) Quello che non desideri fare, per uno smarrimento della tua mente, quello (tu) farai anche contro la tua volontà, costretto dal tuo operare, sorto dalla tua stessa natura, o figlio di Kuntì.
(61) Il Signore, o Arjuna, dimora nella regione del cuore di tutti gli esseri, volgendo intorno tutti gli esseri col suo potere, come se fossero posti su di una macchina.
(62) A lui va' come al tuo asilo, con tutto il tuo essere, o Bharata; attraverso la sua grazia attingerai la pace suprema e l'eterna dimora.
(63) Cosí quella sapienza-conoscenza che è piú segreta di tutti i segreti, è stata da me a te spiegata; rifletti su di essa senza nulla tralasciare e fa (cosí) come preferisci (di fare).
Esortazione finale
(64) Ascolta di nuovo la mia suprema parola, quella che di tutte è la piú segreta; tu sei da me intensamente amato, e ti dirò quindi ciò che per te è buono.
(65) Fissa su di me l'anima tua; sii a me devoto; a me rendi il sacrifizio; a me rendi onore; a me cosí tu verrai e a te prometto la verità, (ché) tu mi sei caro.
(66) Mettendo da canto tutti i doveri, vieni a me (che son) l'unico asilo; non ti affliggere, sarò io a liberarti da tutti i mali.
Il compenso per aver seguito l'insegnamento
(67) Questo (insegnamento) non dev'essere da te assolutamente esposto ad uno che non pratichi penitenze, a uno che non abbia devozione, a uno che mi disobbedisca o (che) mi biasimi.
(68) Colui che spiegherà questo supremo segreto ai miei devoti, per me realizzando una devozione che non ha altra che la superi, a me senza dubbio verrà.
(69) Non ci (potrà essere) fra gli uomini alcuno che compia azione a me piú cara; né ci può essere altri piú caro di lui sulla terra.
(70) E da colui che studierà questo dialogo, che noi due abbiamo condotto secondo i sacri principii, è mio intendimento di essere onorato, attraverso l'ascesi della conoscenza.
(71) E l'uomo che lo ascolti con fede e senza pensieri maligni, quegli appunto, liberato, raggiungerà i mondi felici dove dimorano i virtuosi.
(72) È stato questo (discorso) da te udito con animo fisso su un punto, o Partha? Lo sviamento causato dall'ignoranza è stato esso disperso, o possessore della ricchezza?
Arjuna disse:
(73) Dissolto è il mio smarrimento e da me conquistata la consapevolezza, attraverso la tua grazia, o Incrollabile. Fermo sto, con i dubbi che si son tutti dissolti: quel che tu mi hai detto, io compirò.
Samjaya disse:
(74) Cosí io ho udito questo meraviglioso dialogo fra Vasudeva e il magnanimo Partha, che tale fu da darmi un brivido orripilante.
(75) Per grazia di Vyasa, io ho ascoltato questo segreto supremo, (questo) yoga, proprio dallo stesso Krsna, da lui, il signore dello yoga, che lo spiegava, di persona.
(76) O re, ogni volta che ripenso a questo dialogo meraviglioso e santo di Kesava ed Arjuna, gioisco e torno a gioire.
(77) Ed ogni volta che richiamo alla mente la forma piú che portentosa di Hari, grande è il mio stupore, o re, e gioisco e torno a gioire.
(78) Laddove è Krsna, signore dello Yoga, laddove è Partha, l'arciere, ivi, fermamente credo, sono per certo in modo stabile la fortuna, la vittoria, il benessere, la buona condotta.
Questo è il diciottesimo capitolo intitolato
"Lo Yoga della liberazione attraverso la rinuncia".
(Moksasamnyasa Yoga)
Qui finiscono gli insegnamenti upanisadici della Bhagavad Gita.
Traduzione dal testo sanscrito di Icilio Vecchiotti, edizioni Ubaldini, Roma 1964.
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