I nostri pensieri divengono il nostro mondo. Noi diventiamo ciò che pensiamo. Questo è l'eterno mistero. (Maitri Upanisad)
mercoledì 19 settembre 2012
Ganesh Chaturthi
Oggi si celebra Ganesh Chaturthi, il compleanno di Ganesha.
I Mantra per il Chaturthi
"Ganesa, o Ganapati, è il signore delle masse e delle categorie, Gana; colui che è oltre i Guna, - con la parola sanscrita Guna si indicano le tre categorie dell’essere: rajas, sattva, tamas (esistenza, coscienza ed esperienza, o anche energia, equilibrio ed inerzia - ed al tempo stesso li incarna tutti:
tu oltre i quattro stati della parola,
tu oltre la triade dei Guna,
tu oltre la triade dei luoghi,
tu oltre la triade dei corpi,
tu oltre la triade dei tempi.
Ganapati Upanisad, IV, 2-6.
Oltre il tempo: Vighnesvara, uno degli attributi di Ganesha, è il signore che rimuove gli ostacoli, interrompe la scansione del tempo storico tra passato, presente, futuro e “fa sparire il timore inerente al tempo e alla durata” (A. Sankarāchārya, commento alla Ganapati Upanisad, VII sec.)
[…] molteplici sono le storie della nascita di Ganesha.
Un giorno, Parvati voleva fare il bagno, e creò dalla farina di grano con cui si cospargeva il corpo il giovane Ganesha; poi lo pose di guardia all’entrata del bagno, chiedendogli di non far avvicinare nessuno. Quando si avvicinò uno sconosciuto, il giovane lo respinse, ma a voler entrare era Shiva, compagno di Parvati, che non sapeva della nascita del ragazzo e che, infuriato, lottò con lui fino a tagliargli la testa con il tridente. La madre era addolorata e Shiva, disperato per aver ucciso il figlio, vagava in cerca di una soluzione, quando vide un’altra madre addolorata che piangeva il proprio figlio: erano elefanti. Dalla testa dell’elefantino e dal corpo del giovane morto, rinasce Ganesha.
In altri racconti, Parvati desiderava un figlio e per un anno offrì una puja a Vishnu, che si incarnò sotto forma di Krishna nel bambino appena nato, ma durante i festeggiamenti Parvati invitò Sani, figlio del dio Surya, il sole, a guardarlo, dimenticandone i poteri fatali: il suo sguardo incenerì la testa del bambino, che fu sostituita con quella di un elefantino; o ancora, il figlio di Parvati ricevette la testa di Gajasura, uno spiritello dispettoso con sembianze di elefante che, approfittando della facilità con cui Shiva concede sempre grazie ai propri devoti, aveva ottenuto di poter tenere il dio nel proprio ventre. Dopo averlo liberato, l’asura gli chiese di esaudire ancora un desiderio: che la propria testa fosse adorata come una divinità.
Ad accomunare tutte le diverse “traduzioni” del mito, vi sono sempre la generazione del figlio ad opera soltanto della madre Parvati, e la simbologia delle sembianze d’elefante, metafora dell’unione profonda tra umano ed animale, che rendono Ganesha una straordinaria rappresentazione dell’ibridità e dell’alterità […].
È dalla propria testa di elefante che Ganesha ruppe una zanna, dimostrando un grande amore nell’impegno di “traduttore” del Mahābhārata:
Il saggio Vyāsa, che per tutta la sua vita aveva sempre mantenuto fede ai propri voti e osservato le pratiche delle ascesi spirituali, studiò con grande attenzione e serietà l’eterna conoscenza contenuta nei Veda, testi che a quel tempo non erano ancora stati messi per iscritto, ma erano ripetuti solo in forma orale. […] Nella sua mente vasta e profonda come l’oceano, la storia che avrebbe poi chiamato Mahābhārata prese corpo, con tutte le sue delicate forme espressive e i suoi concetti divini racchiusi nell’incalzare delle vicende. Dal giorno in cui il saggio aveva cominciato a meditare e a richiamare nella sua mente il Mahābhārata erano trascorsi diversi anni e, quando alla fine lo ebbe terminato, ritenne opportuno metterlo per iscritto in modo da divulgarlo tra le genti. In quei giorni in suo aiuto venne il Deva Ganesha che fu ben felice di accettare l’incarico di scrivano (I,2).
Vyāsa e Ganesha si erano reciprocamente promessi di non si fermarsi mai durante la stesura del poema; quando la sua penna si spezzò, il dio non esitò a rompere una delle proprie zanne per intingerla nell’inchiostro, per questo è chiamato anche Ekadanta, colui che ha una sola zanna. Se ogni traduttore mette nel proprio lavoro una parte di sé, Ganesha ci ha messo anche la zanna… […]
Amore, intelligenza o entrambi? Cosa muove il piccolo Ganesha, nella giocosa sfida lanciata da Shiva per assegnare un mango come premio al primo tra i due figli capace di compiere velocemente un giro del mondo? Mentre Skanda - o Kartikeya, figlio minore di Parvati e Shiva, fratello di Ganesha - si lancia in un vorticoso viaggio intorno al pianeta, sulle ali del suo pavone, Ganesha gira attorno ai genitori, pretendendo il mango, perché Parvati e Shiva sono tutto l’universo: il microcosmo ed il macrocosmo coincidono. È questo il senso più profondo della simbologia di Ganapati, in cui il corpo umano incarna il microcosmo, la testa dell’elefante esprime la coscienza dell’universo, l’Atman che tutto pervade, e la loro comunione esprime la non dualità della formula upanisadica tat tvam asi: tu sei quello. Ulteriori significati sono dati dalle grandi orecchie, simili ai setacci per dividere il grano dalla pula, simbolo del discernimento, e dalla costante presenza di un piccolo topo, Mūsika Vāhana, capace di vedere al buio e muoversi anche nell’oscurità, superando l’ignoranza".
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