I nostri pensieri divengono il nostro mondo. Noi diventiamo ciò che pensiamo. Questo è l'eterno mistero. (Maitri Upanisad)

giovedì 24 febbraio 2011

Amrita Nada Upanisad (testo italiano)
















Upanishad sul suono mistico dell’immortalità

OM! Possa Egli proteggerci entrambi, possa Egli nutrirci entrambi, possiamo noi lavorare insieme con grande energia, possa il nostro studio essere vigoroso e portare frutti, possa non esserci mai conflitto tra noi!
OM! Che la Pace sia in me, che la Pace regni nel mio ambiente, che la Pace sia la forza che agisce su di me!
1. Il saggio che ha studiato le scritture e meditato su di esse più e più volte, fino a raggiungere l’intima conoscenza del Brahman, deve abbandonarle come una torcia che si è consumata.
2. Egli sale sul carro che è la sillaba OM con Vishnu come cocchiere, e parte verso la dimora celeste del Brahman (Brahmaloka), per rendere omaggio a Rudra in persona.
3. Ma il carro dell’OM è utile finché cammina lungo il percorso, arrivato alla fine della via praticabile bisogna abbandonare il carro e proseguire a piedi.
4. Abbandonando le lettere (Matra), i simboli (Linga) e i versetti (Pada), conservando soltanto la nasalizzazione silenziosa del M, si raggiunge la dimora sottile in cui regnano silenzio e invisibilità.
5. I cinque sensi e i loro oggetti, così come la mente, così versatile, non sono che delle redini tenute dall’Atman; chi conosce questo pratica il ritiro dei sensi.
6. Ritiro dei sensi (Pratyahara), contemplazione (Dhyana), controllo del soffio (Pranayama), concentrazione (Dharana), riflessione filosofica (Tarka), assorbimento meditativo (Samadhi), ecco le sei membra dello Yoga.
7. Come dalla fusione, le scorie dei minerali grezzi sono totalmente distrutte, così, con la ritenzione del soffio vitale, la sporcizia dei sensi è totalmente consumata.
8. Attraverso il controllo del soffio, la sporcizia è consumata; dal controllo del mentale (Dharana), sono consumati gli atti negativi; dalla ritrazione dei sensi sono dissolte le associazioni negative;con la concentrazione, spariscono gli attributi non luminosi.
9. Mantenendo il proprio pensiero su Ruchira, il Radioso, si svuota il proprio soffio e lo si riempie di nuovo, utilizzando i tre controlli del soffio: l’espiro, l’inspiro e la ritenzione.
10. La Gayatri (tat savitur varenyam, bhargo devasya dhimahi, dhiyo yo nah prachodayat) con la sua corona (OM apo jyoti raso mritam Brahman – acqua, luce, essenza, immortalità, Brahman), accompagnata dalla proclamazione dei tre mondi (bhur bhuvah svah) e dal Pranava Om, deve essere pronunciata per tre volte nel tempo di una respirazione completa: ecco cos’è il controllo del soffio.
11. Quando si espelle l’aria dai propri polmoni fino a fare uno spazio vuoto e senza respiro, e si trattiene questo vuoto, ecco cos’è l’espiro.
12. Come si beve stringendo le labbra attorno ad una cannuccia di loto, così lentamente bisogna inspirare l’aria, ecco cos’è l’inspiro.
13. Quando il soffio non si muove più verso l’esterno o l’interno e tutte le membra sono immobili e l’aria è mantenuta nei polmoni, ecco cos’è la ritenzione del soffio.
14. Guarda le forme manifeste come se fossi cieco, ascolta i suoni come se fossi sordo, considera il tuo corpo come un pezzo di legno, soltanto allora potrai esser detto Prashanta (pacificato).
15. Colui che immerge nell’Atman la propria mente (Manas) utilizzandola come organo di volontà desiderante (Sankalpa) e resta così a fissare il Sé, ecco cosa si chiama fissazione del mentale (Dharana).
16. La ricerca che non va incontro alla dottrina rivelata, è ciò che si chiama flessione filosofica (Tarka). L’identificazione con la verità, oggetto di meditazione perpetua, è invece ciò che si definisce essere assorti nella meditazione (Samadhi).
17-18. Su un terreno pulito, sedendo su un tappeto d’erba kusha, in un ambiente gradevole e privo di problemi, proteggendo il proprio spirito da ogni influenza negativa e pronunciando a bassa voce il mantra Ratha Mandala, si prenda con il corpo una posizione yogica (Padmasana, Svastikasana, Bhadrasana o un’altra postura seduta), e ci si rivolga col viso verso nord.
19. Chiudendo una narice e pressandola con il pollice si inala dall’altra, poi si immobilizza al proprio interno il soffio vitale Agni e si medita sulla sacra sillaba OM.
20. OM, la parola di una sola sillaba, è in verità Brahman, e l’energia dell’OM non deve essere rilasciata attraverso l’espiro. Meditando su questo suono divino molte e molte volte si purifica il proprio spirito da tutte le impurità.
21-22. Poi si medita seguendo il suono del mantra e si fa risalire il soffio vitale dall’ombelico attraverso i tre corpi, grossolano, fisiologico e sottile; volgendo il proprio sguardo sul proprio essere interiore, senza più guardare di lato, né in alto, né in basso, si rimane immobili, la schiena dritta; è così che si pratica lo Yoga con costanza.
23. L’unione meditativa che persevera a lungo senza tentennamenti lungo il condotto sacro di Sushumna, ecco cos’è la concentrazione. L’unione che dura per dodici unità sonore (matras) dell’OM è considerata come fissa, in armonia con il ritmo della respirazione.
24. Senza voce, né consonante né vocale, né gutturale né palatale, né labiale né nasale, né suono soffocato, ma pronunciato con ne labbra chiuse: così è l’Ekakshara, l’imperitura sillaba OM che risuona silenziosamente.
25. Seguendo la sillaba imperitura, si vede il percorso, e quello è il cammino attraverso cui si eleva il soffio vitale. Bisogna praticarlo frequentemente, affinché il cammino del suono apra il cammino del soffio.
26. Attraverso la porta del cuore (Anahata chakra), attraverso quella del soffio (Manipura), attraverso quella della testa, che conduce ai piani superiori (Sahasrara), si apre infine la porta della liberazione, il cerchio della ruota solare.
27-28. Contro la paura, contro la collera, contro l’ozio, contro l’eccesso di veglia o di sonno, contro l’eccesso o l’insufficienza di cibo, lo yogi deve montare la guardia con una costante vigilanza; se questa prescrizione è seguita permanentemente e lo yoga è praticato assiduamente secondo le regole, allora, senza alcun dubbio, lo yogi sentirà in sé la conoscenza, entro tre mesi.
29. Dopo quattro mesi, lo yogi è in presenza del divino, dopo cinque mesi è assorbito nella contemplazione del Brahman, dopo sei mesi, senza alcun dubbio, entra a sua volta nello stato di non-condizionamento assoluto (Kaivalya).
30-31. Con cinque unità sonore (moras), si diviene simili alla terra; con quattro, simili all’acqua; con tre, simili al fuoco; con due, simili all’aria; con una unità sonora, si diviene simili allo spazio etereo (Akasha), allora bisogna continuare a meditare sulla metà della sacra sillaba (Ardha-matra, rappresenta il suono “mmmmmm” dell’OM ) e realizzare l’unione del mentale all’Atman; allora l’Atman dimora in Se stesso e medita su Se stesso.
32. In uno spazio largo trenta dita risiede il principio della vita (Prana) con le sue cinque ramificazioni  (prana, apana, vyana, udana, samana); è il soffio, così è detto perché si apre come terreno di attività all’aria esterna (Vayu).
33. Centrotredici moltiplicato per mille, più centoottanta volte, il soffio compie il suo inspiro ed il suo espiro nell’intervallo di un giorno ed una notte.
34-35. Dei cinque soffi, il primo, Prana, risiede nel cuore, l’Apana negli intestini, il Samana nella regione ombelicale e l’Udana nella gola; infine è il Vyana che, continuamente, circola, reggendo tutte le membra. Esamineremo ora il colore dei cinque soffi.
36-37. Il Prana evoca per la sua sfumatura una gemma preziosa di colore rosso, l’Apana ha una sfumatura rossastra, simile all’insetto Indragopa, la coccinella, il Samana splende nel ventre come un cristallo di montagna dai riflessi bianchi, come il latte della mucca, l’Udana è di un giallo pallido, il Vyana ha le tinte della fiamma.
38. Colui il cui soffio compie il suo percorso attraverso tutta questa catena e continua la sua ascesa attraverso la corona della testa, poco importa il luogo ove morirà, non rinascerà mai più. No, non rinascerà mai più!
OM! Possa Egli proteggerci entrambi, possa Egli nutrirci entrambi, possiamo noi lavorare insieme con grande energia, possa il nostro studio essere vigoroso e portare frutti, possa non esserci mai conflitto tra noi!
OM! Che la Pace sia in me, che la Pace regni nel mio ambiente, che la Pace sia la forza che agisce su di me!

martedì 15 febbraio 2011

Soundarya Lahari di Adi Sankaracharya


Onde di bellezza
inno a Shakti di Adi Sankaracharya

Shivah shakthya yukto yadi bhavati shaktah prabhavitum
Na chedevam devo na khalu kusalah spanditum api
Atas tvam aradhyam Hari-Hara-Virincha dibhir api
Pranantum stotum vaakatham akrta-punyah prabhavati.

Shiva soltanto unito a Shakti, Shivah shakthya yukto yadi,
può creare con l’energia del mondo, bhavati shaktah prabhavitum,
Senza la dea Shakti, Na chedevam, il dio Shiva infatti non potrebbe nemmeno muoversi, devo na khalu kusalah spanditum api,
Perciò coloro che ti adorano, Atas tvam aradhyam, nelle opposte forme della realtà, Hari-Hara-Virincha dibhir api,
cantano le tue preghiere, Pranantum stotum vaakatham, e fanno opere meritorie, akrta-punyah prabhavati.


Avidyanam mantas-timira-mihira dvipa-nagari
Jadanam chay-tanya-stabaka makaranda sruti smrti
Daridranam cintamani-gunanika janma-jaladhau
Nimaghanam damshtra mura-ripu-varahasya bhavati.

La sabbia  della tua isola, dvipa-nagari,
dissolve l’oscurità dalla mente dell’ignorante, Avidyanam mantas-timira-mihira,
il tuo nettare dei Veda e della memoria, makaranda sruti smrti,
del germoglio ombreggiato da Shiva, chay-tanya-stabaka,
risveglia l’apatico, Jadanam,
le gemme delle virtù del tuo oceano, cintamani-gunanika janma-jaladhau, arricchiscono il povero, Daridranam,
sei come la forma del cinghiale Varaha , mura-ripu-varahasya bhavati,
che fa emergere chi è annegato, Nimaghanam damshtra.


Sudha-sindhor madhye sura-vitapi-vati parivrte
Mani-dvipa nipo'pavana-vati cintamani-grhe
Shivaakare manche Parama-Shiva-paryanka-nilayam
Bhajanti tvam dhanyah katichana cit-ananda-laharim.

In mezzo all’oceano del nettare, Sudha-sindhor madhye,
nell’isola dei gioielli circondata, parivrte Mani-dvipa,
dai sacri alberi dei desideri e del soffio vitale, sura-vitapi-vati nipo'pavana-vati,
nella casa delle gemme del pensiero, cintamani-grhe,
seduta in cima al più alto trono di fico di Shiva il dispensatore, Shivaakare manche Parama-Shiva-paryanka-nilayam,
Colei che è come l’onda della beatitudine, cit-ananda-laharim
è venerata dai più virtuosi tra gli eletti, Bhajanti tvam dhanyah katichana.

OM Shanti, Shanti, Shanti


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sabato 12 febbraio 2011

Yoga Sutra di Patanjali (testo italiano)




L'opera di Patanjali si compone in 196 sutra (versi), divisi in quattro sezioni:

    Samadhi Pada (51 sutra): analizza le otto membra dello Yoga: Yama (astinenze), Niyama (osservanze), Asana (posizioni), Pranayama (controllo della respirazione), Pratyahara (ritrazione dei sensi), Dharana (concentrazione), Dhyana (meditazione), fino al raggiungimento del Samadhi, lo stato in cui vi è completa assenza di qualsiasi modificazione mentale, l'unione con il Sé universale.

    Sadhana Pada (55 sutra): illustra la teoria dei klesa e le prime cinque tecniche Yoga (bahiranga, ovvero esteriori).

    Vibhuti Pada (56 sutra): illustra le tre rimanenti tecniche (antaranga, ovvero interiori).

    Kaivalya Pada (34 sutra): espone i problemi filosofici essenziali dela conoscenza e della pratica yogica.

La parola sutra significa anche legame o sequenza, ed indica come l'opera sia un susseguirsi ininterrotto di idee, come i grani di una mala. Questa scrittura è detta anche Yoga Darshana, che significa "il processo di vedere attraverso lo Yoga", ma si tratta di una vista che va oltre l'uso dei sensi, è un vedere l'invisibile, oltre la comune percezione.

Swami Satyananda Saraswati narra un aneddoto significativo, per spiegare come porsi di fronte ad una tale opera:

Un giorno due pandit (eruditi) entrarono in un ashram per partecipare ad un satsang e, essendo stati i primi a giungere, presero posto direttamente dinanzi al guru. Inizialmente il satsang riguardò gli asana, il pranayama e altre pratiche di Yoga, ma dopo un certo tempo i due pandit si rivolsero al guru affermando di essere venuti da molto lontano per discutere di argomenti più importanti, in particolare delle implicazioni filosofiche del samadhi secondo Patanjali. Uno dei due pandit sosteneva la totale uguaglianza tra il nirbija-samadhi e il asamprajnata-samadhi, mentre l'altro ne proclamava con convinzione la diversità. In breve tempo il dibattito si fece molto acceso e il tono dei due si alzò pericolosamente, mentre il guru, non avendo la possibilità di intervenire, sedeva in silenzio.
Mentre la discussione si protraeva una grossa mucca, caracollando attraverso il prato, si portò proprio dietro ai due uomini e si accovacciò placidamente, come se volesse prendere parte anch'essa al diverbio, e mentre tutti gli altri si mostrarono molto sorpresi dinanzi a questo spettacolo, i pandit, presi com'erano dalle proprie argomentazioni, non se ne avvidero nemmeno. La mucca dal canto suo sembrava vivamente interessata alle parole degli uomini, che pareva ascoltare con grande attenzione, finché improvvisamente si decise e muggì con veemenza la sua approvazione. I due litiganti balzarono in piedi spaventatissimi, a corto di parole per la prima volta dall'inizio del giorno e, tra il divertimento generale, videro la mucca che lentamente si alzava e si allontanava, probabilmente in cerca di un altro satsang da qualche altra parte.

Quella saggia mucca mostrò a tutti che gli Yogasutra di Patanjali non furono concepiti e scritti per essere dibattuti intellettualmente, bensì per spiegare il processo e mostrare alcune tecniche per elevare la propria consapevolezza, esplorare le potenzialità della propria mente fino ad arrivare a trascenderla.

Yoga Sutra (testo italiano integrale)

martedì 8 febbraio 2011

Paramahamsa Upanisad (testo italiano)
















Om! Quello (Brahman) è infinito, e questo (universo) è infinito. L'infinito proviene dall'infinito. Togliendo infinitezza all'infinito, Quello (Brahman) rimane il solo infinito. Om! Pace! Pace! Pace!

"Qual è il cammino del Paramahamsa Yogi e quali sono i suoi doveri?" chiese Narada a Brahma (il Creatore). Il Signore rispose: Il cammino dei Paramahamsa di cui chiedi è il più difficile; non conta invero molti esponenti, anzi, è tanto che se ne trovi uno solo. In verità, questi resta saldo nell'eternamente puro Brahman; egli è realmente il Brahman insegnato nei Veda - questo è quanto comprendono i conoscitori della Verità; egli è il più grande poiché ha fissato saldamente la sua mente in Me; e io, perciò, abito sempre in lui. Avendo rinunciato ai figli, agli amici, alla moglie e alle relazioni umane, abbandonati lo Shika, il sacro cordone, lo studio dei Veda, tutte le opere come anche questo universo, egli potrà usare il Kaupina, il bastone e un minimo di abiti per lo stretto sostentamento del corpo e per il bene di tutti. Ma non finisce così. Se chiedi come finisce, ecco quanto segue:

Il Paramahmsa non porta neanche il bastone, non il ciuffo di capelli, non il sacro cordone o altri abiti. Egli non soffre né il freddo né il caldo, né la felicità né l'afflizione, né l'onore, né il disonore, ecc. Si dice che egli sia giunto oltre la portata delle onde dell'oceano-mondo. Abbandonati tutti i pensieri attorno a calunnia, superbia, gelosia, ostentazione, arroganza, attaccamento o antipatia per qualsiasi oggetto, abbandonati gioia e dolore, brama, rabbia, avidità, auto-inganno, invidia,  euforia, egoismo e simili, egli considera il corpo quale un cadavere, poiché ha completamente distrutto l'idea stessa del corpo. Essendo eternamente libero dalla principale causa di dubbio, discordia e falsa conoscenza, realizza l'Eterno Brahman in sé stesso, con la consapevolezza: "Io sono Quello, Io sono Colui che è eternamente calmo, immutabile, indiviso, essenziato di conoscenza e di beatitudine, Quello solo è la mia reale natura". Solo questa conoscenza (Jnana) è il suo Shika, il solo sacro cordone. Attraverso la conoscenza dell'unità tra il Jivatman e il Paramatman, la distinzione tra i due scompare completamente. Questa (unione) è la cerimonia del suo Sandhya.

Colui che rinuncia a tutti i desideri trova la sua suprema dimora nell'Uno-senza-secondo, colui che porta il bastone della conoscenza è il vero Ekadandi. Ma quello che reca un mero bastone di legno, che si diletta di ogni genere di oggetti sensibili ed è privo di Jnana, va a un orribile inferno chiamato Maharauravas. Comprendendo la differenza tra questi due si diventa Paramahamsa.

I punti cardinali sono i suoi soli abiti, egli non si inchina davanti a nulla, non offre oblazioni ai Pitris (Mani), non biasima nessuno e nessuno onora - il Sannyasin lascia la sua volontà indipendente. Per lui non ci sono invocazioni a Dio, nessun cerimoniale di osservanza; non Mantra, non meditazioni, né devozione; per lui non esistono il mondo fenomenico né Quello che è inconoscibile; egli non vede la dualità né percepisce l'unità. Egli non vede "io" né "tu" né altro. Il Sannyasin non ha casa. Egli non accetterà oggetti di valore, d'oro o simili, e non avrà con sé dei discepoli. Se si chiede quale danno ci sia nell'accettare qualcosa, (la risposta è) sì, si fa danno in questo modo. Perché se il Sannyasin guarda l'oro con desiderio, fa di sé stesso l'uccisore del  Brahman; perché se il Sannyasin tocca l'oro con desiderio, diviene degradato come un Chandala; perché se prende l'oro con desiderio, fa di sé stesso l'uccisore dell'Atman. Perciò il Sannyasin non deve guardare, toccare o prendere oro con desiderio. Tutti i desideri della mente cessano di esistere (e di conseguenza) non è agitato dal rimorso e non ha bisogno di felicità; giunge quindi l'abbandono degli attaccamenti agli oggetti dei sensi ed egli è sempre distaccato dalla buona e dalla cattiva sorte, (quindi) non odia e non si rallegra. La tendenza estroversa degli organi di senso si ritrae in colui che risiede nell'Atman soltanto. Realizzando "Io sono quel Brahman che è l'Uno Infinito Consapevolezza e Beatitudine" si ottiene la fine dei desideri, realmente si ottiene la fine dei desideri.

Om! Quello (Brahman) è infinito, e questo (universo) è infinito. L'infinito proviene dall'infinito. Togliendo infinitezza all'infinito, Quello (Brahman) rimane il solo infinito. Om! Pace! Pace! Pace!

Qui finisce la Paramahamsopanishad che si trova nel Sukla-Yajur-Veda.