I nostri pensieri divengono il nostro mondo. Noi diventiamo ciò che pensiamo. Questo è l'eterno mistero. (Maitri Upanisad)
lunedì 27 agosto 2012
Shiva e Shakti
"La radice sanscrita Śa è, al tempo stesso, principio dell’immutabilità e della trasformazione; Shakti è il cambiamento dell’immutabilita, mentre Shiva è l’immutabile che costituisce la base del cambiamento. L’esperienza di unità tra l’immutabile ed il mutevole supera la dualità, fino al punto che Shiva e Shakti, pur essendo due figure distinte, sono la stessa realtà.
Un eremita dal corpo cosparso di cenere azzurra, dai lunghi capelli arruffati, con un serpente avvolto intorno al collo, incoronato solo dalla luna, così nell’iconografia è raffigurato Shiva, mentre Parvati indossa un elegante sari rosso ed è adornata da gioielli; insieme sono simboli di rinuncia e di abbondanza, di austerità e di prosperità, che non sono principi opposti, anzi non possono darsi separatamente: non può esserci prosperità e abbondanza senza rinuncia e austerità. Nella prospettiva filosofica vedica, l’Ātman, il Sé cosmico, è l’essenza di tutte le forme e di tutti gli esseri viventi, dunque la conoscenza non si esprime attraverso il linguaggio della logica oppositiva: Shiva è l’immanifesto e Shakti il manifesto, Shiva la staticità e Shakti il dinamismo, Shiva il senza forma e Shakti la forma, Shiva la coscienza e Shakti l’energia, ma non vi è alcuna contrapposizione, poiché tutto è partecipe dello stesso Atman, esente da dualità, dato che essa comporterebbe una limitazione. Se definire è limitare, separando dal simile o dal dissimile, l’Atman non potrà essere definito nei termini di nessuna categoria: “Neti, Neti”, non sei questo, non sei quello, recitano le Upanisad"
da "L'elefante e la metropoli" di Luca Cangemi.
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