In un’epoca in cui la sopravvivenza della specie umana è in pericolo, tenere in vita lo status quo vuol dire cooperare con la follia e contribuire al caos. Quando l’oscurità sommerge lo spirito dell’umanità, le persone impegnate devono urgentemente risvegliarsi ed elevarsi verso la rivoluzione.
La furbizia della mente umana ci ha portato a questa crisi complicata, orribile e universale. Le soluzioni basate su una concezione tradizionale dell’uomo, continuano a fallire, a essere pateticamente inadeguate. Tuttavia investiamo molte risorse in queste vecchie soluzioni, con l’idea che se raggiungiamo una scala sufficientemente grande, esse risolveranno i nuovi problemi. Abbiamo il coraggio di vedere i fallimenti per quello che sono, lasciandoli al passato? Abbiamo la forza di andare al di là di filosofie anguste e unilaterali, per aprirci alla totalità e all’interezza?
Ciò che occorre adesso è andare al di là del frammentario, per risvegliarci alla rivoluzione totale. Ciò che occorre adesso non sono le formule rivoluzionarie del passato. Se hanno fallito, perché continuare a trascinarle con noi, magari sotto nuove vesti? Oggi la sfida è creare una rivoluzione completamente nuova, vitale, che includa la totalità dell’esistenza. Non abbiamo mai avuto il coraggio di abbracciare la totalità della vita nella sua imponente bellezza; ci siamo accontentati dei frammenti, di nicchie dove ci sentiamo concettualmente al sicuro ed emotivamente tranquilli. Potremmo anche tenere le nostre piccole e confortevoli nicchie, non fosse per la terribile confusione che abbiamo creato cercando di spezzare l’unità cosmica in piccoli frammenti. Abbiamo creato un caos orribile, e cerchiamo di porre riparo alla complicata situazione con le più superficiali e raffazzonate cure.
Oggi, con le cicatrici dei fallimenti passati che deturpano la nostra esistenza e le paure del futuro che appesantiscono lo spirito, non possiamo più continuare con questo pericoloso gioco della frammentazione. Non possiamo più negare il fatto che siamo tutti collegati, uniti nella totalità. La scienza e la tecnologia hanno portato ognuno di noi in intima relazione con tutti gli altri. Siamo davvero una grande famiglia umana. Tuttavia, come famiglia umana, non abbiamo imparato a vivere insieme in pace, senza violenza né sfruttamento. All’inizio del ventesimo secolo, Bertrand Russell ha scritto: “L’uomo sa volare in aria come un uccello, sa nuotare nell’acqua come un pesce, ma non sa vivere in mezzo agli altri esseri umani”.
Benché la nostra sopravvivenza sia a rischio, tendiamo a considerare la crisi in modo superficiale, emotivo e sentimentale. Abbiamo cercato, in modi sottili, di non attribuire a noi la colpa per la situazione della famiglia umana. Pensiamo di essere – noi o il nostro piccolo gruppo – persone sincere e amanti della pace, e attribuiamo agli estranei, a chi sta fuori dal gruppo, ai furfanti assetati di potere, la responsabilità per ogni guerra o aggressione.
Tuttavia, come possiamo noi, membri di società preparate alla guerra, chiamarci fuori in quanto “amanti della pace” accusando gli altri di violenza? Ma questo è ciò che cerchiamo di fare. Vediamo alla TV, o ascoltiamo alla radio di guerre e massacri che accadono in vari Paesi, e pensiamo quanto sia stupido farsi la guerra, chiedendoci perché i politici e gli uomini di Stato non hanno il buon senso di mettere fine a tutte queste sciocchezze. Questa è la reazione forse di ogni cittadino sensibile del mondo. Ma chi è che fa la guerra? Dove sono la radici di quest’ultima? Nelle menti di pochi individui che governano i rispettivi Paesi? Oppure nei sistemi che noi abbiamo creato e nei quali viviamo da secoli: il sistema economico, politico, amministrativo, industriale? Se non siamo dei romantici o dei sentimentali, e non ci accontentiamo di una semplice reazione emotiva, dicendo quanto sono brutte le guerre, ma andiamo in profondità, non troveremo forse le radici della guerra nei sistemi e nelle strutture che abbiamo accettato?
Scopriremo che esistono sistemi e strutture che conducono inevitabilmente all’aggressione, allo sfruttamento e alla guerra. Abbiamo accettato l’aggressione come stile di vita. Creiamo strutture che culminano nella guerra, e ci trinceriamo dietro di esse. Mantenere le strutture ed evitare le guerre non è possibile. Io e te, come individui, dobbiamo comprendere in che modo siamo responsabili, come cooperiamo con il sistema e quindi partecipiamo alla violenza e alla guerra. Quindi, dobbiamo cominciare a chiederci se possiamo smettere di cooperare con il sistema, di partecipare alle guerre, e cercare stili di vita alternativi.
Dobbiamo andare alle radici del problema, al centro della psiche umana, riconoscendo che l’azione sociale collettiva comincia dall’azione nella vita individuale. Non possiamo separare l’individuo dalla società. Ognuno di noi contiene la società quando ne accetta la struttura, le priorità stabilite per noi dai governanti e dagli Stati. Siamo espressioni della società, ripetiamo il modello creato per noi, e siamo felici perché ci vengono dati comfort, svaghi, divertimenti, sicurezza fisica ed economica. Ci hanno educato a essere ossessionati dalla sicurezza: il domani ci preoccupa molto più della responsabilità per l’oggi.
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Vimala Thakar, Spirituality and Social Action: A Holistic Approach, 1984
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