Vedere il mondo come un insieme confuso di frammenti (alcuni dei quali vengono etichettati come amici, altri come nemici) è un atteggiamento che parte da dentro di noi. Assegniamo al nostro mondo interiore gli stessi giudizi negativi o positivi che usiamo per il mondo esteriore, e le guerre avvengono anche al nostro interno. Internamente siamo in conflitto con noi stessi; le emozioni vogliono una cosa, l’intelletto un’altra, gli istinti del corpo un’altra ancora, e dentro di noi si crea una guerra diversa per dimensioni, ma non per qualità, da quelle in corso nel mondo. Se non siamo in contatto con la totalità di noi stessi, desta forse meraviglia il fatto che non riusciamo a percepire la totalità del mondo? Se pensiamo di essere un insieme raffazzonato e disordinato di caratteristiche desiderabili e indesiderabili, di aspirazioni in contrasto tra loro, di convinzioni e pregiudizi confusi, forse che non proietteremo tutto ciò sul mondo?
Poiché la fonte dei conflitti, dell’ingiustizia sociale e dello sfruttamento è nella psiche umana, dobbiamo cominciare da quest’ultima la trasformazione della società. Indaghiamo la mente, la psiche umana, non per fare un’attività fine a se stessa, ma come un’azione compassionevole verso l’intera specie umana. Dobbiamo scendere alle radici profonde della decadenza della nostra società, in modo che le nuove strutture e sistemi sociali che progetteremo avranno radici abbastanza sane per poter generare fiori. Le strutture della società vanno trasformate, ma vanno modificate anche le supposizioni e le motivazioni nascoste su cui queste strutture si basano. I valori e le motivazioni, sociali e collettivi, per i quali si approvano l’ingiustizia e lo sfruttamento della società moderna, vanno cambiati tanto quanto le strutture socioeconomiche e politiche. Non lasceremo più che le motivazioni e i valori individuali e collettivi restino nascosti e inesplorati. Cambiare le strutture e i comportamenti superficiali non produrrà effetti di lunga durata se le fondamenta resteranno malsane e decadenti.
Coloro tra noi che hanno consacrato la vita all’azione sociale considerano l’etica e la morale, le abitudini e le motivazioni, territorio privato. Desideriamo che le nostre motivazioni e abitudini restino invisibili non solo al mondo, ma anche a noi stessi. In verità, la vita interiore non è una faccenda privata o personale; è una questione sociale. La mente è un risultato dello sforzo umano collettivo. Non esiste la tua e la mia mente; esiste la mente umana. Essa è una mente umana collettiva, plasmatasi e formatasi nel corso dei secoli. I valori, le norme, i criteri sono modelli di comportamento stabiliti dalla collettività. Non c’è nulla di personale o privato in essi. Possiamo pure chiudere le porte della nostra stanza e pensare che nessuno conosce i nostri pensieri, ma quello che facciamo nella cosiddetta privacy influenza la vita intorno a noi. Se per tutto il giorno siamo vittime di pensieri ed energie negative, se ci arrendiamo alla depressione, alla malinconia e al risentimento, queste energie inquinano l’atmosfera. Dov’è, a questo punto, la privacy? Abbiamo la responsabilità sociale di cominciare a considerare la mente un prodotto della collettività, riconoscendo che le nostre espressioni individuali sono espressioni della mente umana.
La libertà interiore dal passato, dalla struttura del pensiero, dalla mente collettiva standardizzata, è assolutamente necessaria se vogliamo incontrarci tra noi senza sfiducia, diffidenza o paura, guardandoci negli occhi spontaneamente e ascoltandoci senza inibizioni. Lo studio della mente e l’esplorazione della libertà interiore non sono cose utopiche o egoiste; al contrario, sono cose urgentemente necessarie affinché gli esseri umani possano superare la barriere erette tra noi dall’irreggimentazione del pensiero.
La responsabilità sociale per arrivare alla libertà interiore è un tema molto importante. Studiamo la mente umana perché vogliamo che prevalga l’armonia della pace, perché abbiamo bisogno della gioia dell’amore nel nostro cuore, perché ci preoccupa la qualità della vita che erediteranno i nostri figli. Non affrontiamo questo studio perché vogliamo qualcosa di nuovo ed esoterico per l’ego, un’esperienza trascendentale che rinforzi la nostra immagine di noi stessi. Studiamo la mente perché è una responsabilità sociale; riconosciamo che la radici della violenza, dell’ingiustizia, dello sfruttamento e dell’avidità sono nella psiche umana, e là rivolgiamo la nostra attenzione chiara, precisa e oggettiva.
Siamo organicamente interdipendenti, e dobbiamo vivere la relazione che c’è tra noi. Fare attenzione alle dinamiche dell’essere interiore non vuol dire creare una via di fuga dalle responsabilità o avere un atteggiamento di falsa superiorità per cui io sono una persona elevata e tu no; vuol dire, semplicemente, riconoscere che nelle nostre relazioni personali e collettive c’è infelicità, e che tali relazioni provocano paure e ansie, mettendoci sulla difensiva. Per quanto desideriamo la pace, non siamo emotivamente maturi per essa, e la nostra immaturità influenza tutte le nostre azioni, anche le più nobili.
La scomparsa del caos interiore accade nella vita di quelle persone che vogliono davvero diventare esseri umani creativi, vivi e passionali, e che riconoscono che l’anarchia e il caos interiori prosciugano l’energia, manifestandosi nella società sotto forma di comportamenti falsi e meschini. La consapevolezza richiede un enorme amore verso la vita. Non è per coloro che scelgono di vivere tirando avanti, o per chi ritiene che le azioni caritatevoli nella società giustifichino una brutta realtà interiore. La rivoluzione totale di cui stiamo parlando non è per i timidi o per coloro che si credono nel giusto. È per coloro che amano la verità più della finzione. È per coloro che sinceramente e umilmente desiderano trovare una via d’uscita da questo caos che ognuno di noi ha creato con la sua indifferenza, negligenza e mancanza di coraggio morale.
La scelta è nelle nostre mani
La maggior parte di noi non sa qual è il senso della propria vita e quali sono le azioni più importanti da compiere. Seguiamo le mode, mutiamo centro d’interesse secondo i dettami della società, ci lasciamo guidare dalle immagini create dai media o da personali, superficiali desideri di essere utili e servizievoli. Poiché siamo abituati a vivere alla superficie e a temere le profondità, i pensieri e le azioni che dedichiamo all’umanità sono poco profondi, simili a fragili contenitori che si spezzano facilmente. Alla fin fine, la maggior parte di noi si preoccupa soltanto della propria meschina esistenza, della collezione di piaceri sensuali, della salvezza personale e dell’ansia per la malattia e la morte, piuttosto che dell’infelicità creata dall’indifferenza e l’insensibilità generali.
Ma abbiamo raggiunto il punto in cui non potremo più permetterci di indulgere in comodità egoiste e guadagni personali, o di evadere in ricerche spirituali a scapito del bene collettivo. Per noi non possono esserci vie di fuga, ritiri o nicchie personali dove volgere le spalle alle sofferenze dell’umanità, dicendo: “Io non sono responsabile. Sono gli altri che hanno creato questo caos; spetta a loro porvi rimedio”. La scritta sul muro del mondo è chiara: “Imparate a vivere insieme, perché nell’isolamento morirete!”. La scelta è nelle nostre mani.
Oggi il mondo ci costringe ad accettare, almeno intellettualmente, la connessione che c’è tra noi, il fatto che dipendiamo gli uni dagli altri. E sempre più persone stanno comprendendo quanto è urgente fermare la follia che ci circonda. Ciononostante, la nostra risposta è superficiale, inadeguata alla complessità della sfida. Non compiamo (e nemmeno prendiamo in considerazione) azioni che minaccino la nostra sicurezza o alterino la nostra abitudine a vivere tirando avanti. Se continuiamo a vivere con noncuranza e indifferenza, badando solo all’utile privato e alla soddisfazione personale, in realtà stiamo scegliendo il suicidio dell’umanità.
Possiamo impegnarci in molti tipi di servizio sociale, secondo le nostre possibilità, senza deviare di un centimetro dai nostri interessi personali; di fatto, lo stesso servizio sociale aumenta (di solito) l’egocentrismo e la considerazione di sé. Non possiamo però cominciare un’autentica azione sociale, che va all’origine dei problemi della società e della psiche umana, senza rinunciare alle motivazioni egoiche. Dobbiamo scrutare a fondo la rete di motivazioni personali e scoprire quali sono le nostre priorità. Il nostro desiderio di pace deve essere tanto intenso da farci abbandonare qualsiasi azione egoica, per raggiungere quella maturità richiesta dalle complesse sfide che caratterizzano la nostra esistenza. Se siamo motivati dal desiderio di farci accettare dalla cultura dominante o dalla controcultura, non avremo né la chiarezza della giusta azione né la passione derivante dall’avere uno scopo preciso. Potremmo pure essere elogiati per i nostri contributi, ma se manca una profonda consapevolezza dell’essenza della nostra vita, una percezione chiara del significato dell’esistenza umana, i nostri contributi non raggiungeranno le radici dell’infelicità umana.
Per essere pronti alla responsabilità sociale, dovremo essere spietatamente onesti con noi stessi. Ovunque siamo, abbiamo la responsabilità di resistere all’ingiustizia, di rischiare senza paura i nostri agi e comodità pur di non cooperare con l’ingiustizia e lo sfruttamento.
Vimala Thakar, Spirituality and Social Action: A Holistic Approach, 1984
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